Il voto di metà mandato a Pechino
L'America sulla Cina è bipartisan. La continuità tra repubblicani e democratici
La strategia “olistica” contro gli autoritarismi e per rafforzare le alleanze di Biden e le mazzate di Trump. Ma non è solo propaganda. Problemi per Xi Jinping
“La democrazia americana è il massimo dell’ipocrisia”, titolava qualche giorno fa un editoriale pubblicato dalla Xinhua, l’agenzia statale cinese. Il riferimento è ovviamente alle elezioni di metà mandato in America, un appuntamento elettorale arrivato a un paio di settimane dall’evento simbolo di un modello contrapposto, quello che rappresenta la stabilità autoritaria del partito unico: il ventesimo Congresso del Partito comunista cinese, che ha consegnato alla leadership di Xi Jinping un terzo, inedito mandato. “Le elezioni sono spettacoli politici che ingannano il popolo americano”, scrive Xinhua, “la cosiddetta democrazia è, in realtà, un gioco di potere e denaro”. La propaganda cinese è costretta a colpire il sistema americano nel suo complesso, perché non c’è un partito favorito da Pechino negli Stati Uniti. Nell’approccio alle relazioni con la Cina, tra democratici e repubblicani non c’è mai stata così tanta continuità.
Lo dimostrano anche gli obiettivi dei recenti attacchi cyber e troll condotti da gruppi legati al governo centrale di Pechino e svelati da diverse aziende di sicurezza informatica come Mandiant, Recorded Future e Alethea: da un lato i troll cinesi hanno preso di mira genericamente il sistema americano, definito quasi ossessivamente e su diverse piattaforme come “malato” e sanabile solo dopo una “guerra civile”; ma gli attacchi ad personam, contro i diversi candidati, sono per lo più bipartisan: si va da Trump a Biden passando per Marco Rubio e Nancy Pelosi.
Tra il 2018 e il 2019 l’Amministrazione americana guidata da Donald Trump ha portato la guerra commerciale per il contenimento della Cina a un livello mai visto prima. Ma i dazi e le sanzioni imposte da Trump non sono diminuiti con l’arrivo alla presidenza di Joe Biden, anzi. Nell’ultimo documento sulla Sicurezza nazionale della Casa Bianca, il contenimento della Cina – e della sua influenza autoritaria sul resto del mondo – è diventato per la prima volta una priorità. Le ultime decisioni sulla messa in sicurezza del settore tecnologico sono solo la punta dell’iceberg. Perché nel frattempo le relazioni tra Washington e Pechino stanno ulteriormente peggiorando (la Cop27 di questi giorni in Egitto ha dimostrato che nemmeno l’unico argomento su cui era stato promesso un dialogo Usa-Cina, il clima, ha funzionato) e potrebbero peggiorare ancora con una maggioranza repubblicana al Congresso. Se da un lato quella dei democratici e di Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, è una strategia “olistica” contro gli autoritarismi e per rafforzare le alleanze con paesi “like-minded”, i repubblicani vicini a Trump hanno spesso usato la Cina per motivi interni, come uno strumento per colpire indirettamente i democratici – per esempio indagando sugli interessi economici del figlio di Joe Biden, Hunter, a Pechino.
Si parla già da qualche tempo di un nuovo comitato ristretto sulla Cina che potrebbe essere istituito su richiesta del repubblicano californiano, fedelissimo di Trump, Kevin McCarthy. I falchi anticinesi repubblicani vogliono altre commissioni al Congresso sull’origine del Covid, sugli Istituti Confucio, sulle supply chain. Ma è soprattutto sull’intensificazione delle relazioni con Taiwan, l’isola che Pechino rivendica come proprio territorio, che un Congresso a maggioranza repubblicana farà più pressioni. La Cina è ormai un tema di politica interna, in America, e secondo l’ultimo sondaggio di Pew l’82 per cento degli americani ha una visione negativa della Cina.
L'editoriale del direttore