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Sul fronte ucraino

La Russia annuncia un ritiro da Kherson. La conferma di Surovikin

Micol Flammini

Il ministro Shoigu e il generale dicono: pensiamo alle vite dei soldati, e ricompattano i russi a est del Dnipro. Kyiv teme una trappola e la Nato risponde con cautela

Aggiornamento delle 11.05.  Vladimir Putin non parteciperà al prossimo G20 che si terrà a Bali, in Indonesia, la prossima settimana. La delegazione russa sarà guidata dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Secondo la Bbc il Cremlino sta cercando di evitare potenziali scontri tra Putin e altri leader mondiali, incluso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, sulla guerra in Ucraina.

   


 

Roma. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha ordinato la ritirata delle truppe russe da Kherson verso nuove posizioni sulla sponda orientale del fiume Dnipro. La mossa è stata annunciata dopo che il generale Sergei Surovikin, comandante delle forze russe in Ucraina, aveva parlato di una decisione difficile  ma necessaria a “preservare la vita dei soldati e la loro capacità di combattimento”.  Surovikin ha detto che  l’Ucraina non ha abbandonato la sua offensiva, che in realtà  è rallentata nelle ultime settimane,  e continua a colpire; gli uomini di Mosca hanno resistito causando un numero molto alto di vittime – da agosto a ottobre, secondo il generale, l’esercito di Kyiv avrebbe perso circa 9,5 mila soldati – ma è arrivato il momento di spostarsi. 

 

Poche ore prima che il ministro e il generale facessero l’annuncio della ritirata, era arrivata una notizia i cui contorni rimangono ancora poco definiti: il vicegovernatore di Kherson, Kirill Stremousov, è morto in un incidente d’auto. Stremousov era il volto dell’occupazione, era stato lui a firmare l’accordo di annessione, era stato prima un fedelissimo dell’ex presidente appoggiato dal Cremlino, Viktor Yanukovich, ed era lui che si occupava di dare gli annunci più importanti alla popolazione, come quello relativo all’evacuazione. Non sono uscite foto che testimonino l’incidente né conferme da parte di fonti di intelligence di altri paesi. 

 

Il ritiro da Kherson è di grande importanza strategica e simbolica, è il primo capoluogo occupato da Mosca all’inizio dell’invasione, è parte dei territori che la Russia ha annesso in modo illegittimo a fine settembre, è fondamentale per l’accesso al Mar Nero, per la costituzione di un ponte di terra dalla Russia alla Crimea e per rifornire la penisola di acqua. Per questo gli ucraini avrebbero scommesso che Vladimir Putin avrebbe speso fino all’ultimo uomo per difendere Kherson. Con la fuga ordinata iniziata due settimane fa, la città fantasma senza cittadini e  con pochi soldati, le spoglie trafugate di Grigori Potemkin, l’uomo e probabilmente amante, a cui la zarina Caterina II aveva affidato la politica in Crimea, Mosca ha mandato segnali talmente scenografici per comunicare le sue intenzioni,  che gli ucraini li hanno accolti con molto scetticismo. Andri Yermak, uno dei funzionari più vicini al presidente  Volodymyr Zelensky, ha lasciato intendere che non ha intenzione di fidarsi: “Qualcuno pensa sia una mossa astuta, ma noi siamo un passo avanti”. Zelensky ha detto che il ritiro da Kherson non apre a un negoziato con la Russia, rispondendo alla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che aveva annunciato: “La Russia è pronta a negoziare con l’Ucraina tenendo conto delle realtà che si stanno sviluppando”. 

 

A Kherson Mosca ha schierato i suoi uomini migliori, soldati che sanno combattere, e Kyiv ha iniziato una controffensiva sapendo che sarebbe stata particolarmente sanguinosa. E’ uno dei posti in cui Mosca è stata più a lungo, è riuscita a creare una rete di contatti, e di traditori,  stabile. Anche l’attività partigiana è stata sorprendente, ma il governo ucraino non sa fino in fondo cosa possa attenderlo a Kherson: teme una trappola. Putin ha lasciato dare l’annuncio al suo generale più stimato, che ha fama di essere particolarmente brutale: un uomo poco adatto ad annunciare un ritiro. A lui sono arrivate le congratulazioni del leader ceceno Ramzan Kadyrov, che è sempre stato a sostegno di un’operazione su vasta scala, senza arretramenti, senza indugi, costi quel che costi fino a Kyiv. Il messaggio a favore  del ritiro, che inizierà “il prima possibile”, ha avuto il suono di una beffa, una stonatura, il segnale che gli ucraini fanno bene a essere scettici. Anche la Nato ha risposto con cautela: aspettiamo.  Nelle ore in cui Mosca annunciava il ritiro da un territorio che considera suo, Putin era al Cremlino a parlare d’altro: accoglieva il capo dell’istituto nazionale di salute pubblica. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)