strategie russe
Perché in Russia si discute del ritorno della pena di morte
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev ha parlato del superamento della moratoria sull'esecuzione capitale, introdotta da Eltsin per poter entrare a far parte del Consiglio d'Europa. Resta il nodo costituzionale che ne impedirebbe il ripristino
In un post su Telegram l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitrij Medvedev, è tornato a proporre il superamento della moratoria sulla pena di morte. Di fronte al crescente numero di sabotaggi a infrastrutture strategiche, il Cremlino ha imboccato la strada della progressiva militarizzazione della vita civile ed economica. Il mese scorso il presidente Vladimir Putin ha deliberato lo stato di guerra nelle regioni al confine con l’Ucraina, disponendo, allo stesso tempo, l’applicazione di alcune delle misure previste dalla legge marziale anche ad aree assai più distanti dal conflitto, tra le quali Mosca e San Pietroburgo. Nonostante il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, abbia esplicitamente negato che la proposta sia in discussione, il ripristino della pena di morte sarebbe il necessario pendant di un disegno complessivamente volto a stringere la presa sulla società russa.
Nel proprio messaggio Medvedev ha ricordato che, a differenza di tutte le altre grandi potenze nucleari (Stati Uniti, India, Cina), in Russia vige da tempo una moratoria – circostanza che dimostrerebbe la grande umanità del proprio paese – ma essa può essere superata, a Costituzione invariata, attraverso una revisione della giurisprudenza della Corte costituzionale. “Si tratta di scegliere i mezzi giusti per proteggere gli interessi del nostro popolo, dello Stato e della società”, ha concluso Medvedev.
La questione della moratoria si intreccia a doppio filo con l’espulsione della Federazione russa dal Consiglio d’Europa, avvenuta lo scorso 16 marzo. L’accesso e la permanenza in tale organizzazione, composta da quarantasette paesi, era infatti condizionata all’impegno da parte di ciascuno di vietare o, comunque, non applicare la pena di morte. Nel 1996, stante il voto contrario della Duma di stato alla ratifica del Protocollo VI alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che vieta esplicitamente la pena di morte, l’allora presidente Boris Eltsin, per consentire comunque l’ingresso della Russia nel Consiglio, fu costretto a stabilire una moratoria, cui seguì, nel 1999, una prima sentenza adesiva della Corte costituzionale russa. Venuto meno il vincolo internazionale, oggi si discute se la moratoria possa essere revocata e la pena capitale tornare a essere applicata quantomeno alle cinque fattispecie di reato per cui è ancora formalmente prevista dal codice penale: omicidio in presenza di alcune circostanze aggravanti, tentato omicidio di un giudice, di un funzionario o di un ufficiale di polizia, genocidio. Non vi rientrano attualmente reati quali sabotaggio o terrorismo, ma nulla vieterebbe alla Duma di stato di emendare il codice penale in senso più restrittivo una volta che la pena fosse ripristinata.
Resta, tuttavia, da capire se la Costituzione russa non sia comunque d’intralcio a un tale ripristino. L’art. 20 § 2 della Costituzione del 1993, nel garantire il diritto alla vita, dispone che la pena di morte, fino alla sua completa abolizione, debba essere prevista dalla legge federale e possa essere applicata a condizione che l’imputato sia giudicato da un tribunale integrato da una giuria popolare. Nella sentenza del 1999, la Corte costituzionale aveva giustificato la moratoria sul piano interno con la mancata implementazione delle giurie popolari nei tribunali di tutti gli (allora) ottantanove soggetti della Federazione. Nel 2009, tuttavia, anche dopo l’istituzione di giurie popolari nei tribunali dell’ultima regione che ancora ne era priva (la Cecenia), la Corte costituzionale fu nuovamente chiamata a esprimersi e ritenne che la pena capitale non potesse comunque tornare a essere applicata, ma che la moratoria dovesse rimanere in vigore a tempo indefinito, fintantoché la Duma di stato non avesse ratificato l’anzidetto Protocollo VI alla Cedu.
Se in quel momento la Corte costituzionale spingeva insomma affinché il parlamento si conformasse ai propri obblighi internazionali, oggigiorno l’assenza formale di tali vincoli e il mutato scenario internazionale potrebbero consentire ai giudici costituzionali di rivedere la propria decisione, proprio come auspicato da Medvedev. Interpellato nel giugno scorso, il presidente della Corte, Valery Zorkin, in carica dal 2003, ha per ora escluso una simile ipotesi, sostenendo che un ritorno alla pena di morte sarebbe possibile soltanto se la Russia si desse una nuova Costituzione. Il che parrebbe implicare che, vincoli internazionali o meno, il fine costituzionale della completa abolizione della pena capitale sia già stato sostanzialmente raggiunto e non possa più essere messo in discussione.
Giovanni Boggero
Università degli Studi di Torino