L'analisi
Con il ritiro da Kherson per Putin si pone il problema della definizione delle zone annesse
Com'è possibile giustificare, anche sotto il profilo giurisprudenziale, l'abbandono di territori che secondo il Cremlino fanno ormai parte della Russia? Oltre a questo e nonostante i proclami, continua a non essere chiaro nemmeno quali siano gli esatti confini degli oblast incorporati. Tra incertezze e contraddizioni giuridiche
All’indomani dell’annuncio televisivo della ritirata da Kherson da parte del contingente di occupazione russo, viene da domandarsi come sia possibile giustificare, anche sotto il profilo giuridico, l’abbandono di territori che secondo Mosca, dal 30 settembre scorso, fanno parte della Federazione russa. La domanda è tanto più pressante se si considera che, da un lato, la Costituzione vieta qualsiasi alienazione di territorio russo e, dall’altra, il codice penale punisce manifestazioni del pensiero lesive dell’integrità territoriale dello stato.
A oggi, tuttavia, continua a non essere chiaro quali siano gli esatti confini delle regioni annesse e, di conseguenza, nemmeno quali siano i confini esterni della Federazione. Dopo gli pseudo-referendum del 23-27 settembre, i trattati stipulati tra le due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk, i due oblast di Zaporizhzhya e Kherson e la Federazione russa non definiscono, infatti, con la dovuta precisione quali parti dei rispettivi territori – mai stati del tutto sotto il controllo effettivo di Mosca – siano stati davvero incorporati. Un chiarimento in proposito non l’ha offerto nemmeno la Corte costituzionale, espressasi il 2 ottobre sulla conformità di tali trattati alla Costituzione.
Il 3 ottobre il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, aveva affermato che le due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk sarebbero state riconosciute “nei loro confini del 2014”, espressione ambigua che non si sa se ricondurre ai due oblast come riconosciuti nell’ordinamento ucraino o, al contrario, agli assai più ridotti confini occupati a partire da quello stesso anno dai separatisti filo-russi. Per quanto riguarda Zaporizhzhya e Kherson (che al momento dell’annessione includeva anche due distretti del contiguo oblast di Mykolaiv), Peskov aveva dichiarato che una simile decisione sarebbe avvenuta più avanti, dopo aver nuovamente consultato le popolazioni locali, anche se non mediante referendum.
Questa relativa incertezza giuridica sull’estensione dei confini territoriali degli oblast incorporati nella Federazione consente al Cremlino di non dover giustificare all’opinione pubblica condotte altrimenti illecite, come quelle derivanti dalla ritirata di queste ore da Kherson. Se, infatti, si fossero riconosciute le regioni incorporate negli equivalenti confini ucraini, dal giorno stesso dell’annessione la Russia si sarebbe ritrovata con parte del proprio territorio occupato e ogni ulteriore passo indietro avrebbe potuto essere letto come preordinato alla cessione di parte del territorio federale, ipotesi vietata dall’art. 67§ 2 della Costituzione, così come modificato nel 2020 su iniziativa del presidente Putin. Allo stesso tempo, ogni dichiarazione favorevole a un ripiegamento sarebbe stata passibile di incriminazione sulla base dell’art. 280.1 del codice penale che punisce i pubblici appelli volti a ledere l’integrità territoriale della Federazione. D’altro canto, come qualche osservatore faceva ironicamente notare, se pure la giustificazione della ritirata svolta ieri in diretta tv dal generale Sergej Surovikin e dal ministro della difesa Sergej Shoigu non fosse lesiva dell’integrità territoriale russa, i due potrebbero pur sempre essere puniti in base al nuovo art. 280.3 del codice penale che, dal 24 febbraio scorso, punisce le azioni pubbliche volte a screditare l’impiego delle forze armate per proteggere gli interessi della Federazione.
L’incertezza consente, insomma, al Cremlino di tenersi le mani libere, se del caso anche per future trattative con Kyiv. I confini dei quattro oblast potrebbero cioè essere oggetto di delimitazione o demarcazione, uniche operazioni tecnicamente possibili sulla base dell’anzidetto art. 67 § 2 della Costituzione. Man mano che l’esercito russo batte in ritirata, l’estensione territoriale di queste regioni potrebbe quindi ancora assottigliarsi. L’unica condizione giuridica a tale assottigliamento pare essere che, al limite, una pur piccola e imprecisata parte di territorio riferibile ai quattro oblast resti alla Federazione russa, ipotesi che sembra, a oggi, comunque difficilmente accettabile dal governo di Kyiv, il cui obiettivo è la piena liberazione di tutti i territori occupati dal 2014.
Giovanni Boggero, Università degli Studi di Torino