Donald Trump (Ansa)

dopo le elezioni

Al Capitol Hill Club, il Gop fa i conti con la dipendenza da Trump

Giulio Silvano

Queste midterm hanno bocciato le politiche del “Make America Great Again”. I repubblicani si chiedono quali siano stati gli errori e tutti indicano l'ex presidente, ma guardando i numeri non si può dire che il trumpismo sia stato spazzato via. Anche per questo c'è ancora molta cautela, perché farsi nemico il tycoon, pronto a ricandidarsi per Casa Bianca, è pericolosissimo

Washington. I repubblicani speravano in una red wave che non c’è stata. La consolazione potrebbe essere comunque il controllo della Camera. Ma questa inaspettata batosta ha già messo in fermento i circoli repubblicani a Washington, perché potrebbe scatenare una rivoluzione interna al partito. I risultati elettorali di queste midterm, che hanno premiato molti democratici, soprattutto governatori, potrebbero essere usati come scusa per scalzare Donald Trump dalla guida del partito. Nella sede dell’American Enterprise Institute (AEI), uno dei principali think tank conservatori, nessuno fa dichiarazioni, ma gli anti Trump iniziano già a organizzare riunioni cercando di ritirare dentro quei vecchi repubblicani allergici al populismo che se n’erano andati con l’arrivo di Trump. Il tentativo è ricostruire ora una resistenza fintanto che l’ex presidente è indebolito e convincere i più spaventati che se ci si organizza per tempo si può riuscire a creare un’alternativa conservatrice.

Al Capitol Hill Club, un club privato a due passi dal Campidoglio e accanto alla sede del partito, si ritrovano da sempre senatori e deputati repubblicani per parlare tra loro, o coi lobbisti, davanti a croissant e bistecche. Dentro si è accolti da statue di elefanti, divanetti rossi, memorabilia dei vecchi presidenti tanto amati, ritratti a olio di George H. W. Bush e Ronald Reagan. Un deputato festeggia sobriamente la sua elezione alla Camera. “Le cose stanno per cambiare”, dice speranzoso, ma anche lui non dice altro. C’è ancora molta cautela, perché farsi nemico Trump, si sa, è pericolosissimo.

 

Queste midterm hanno bocciato le politiche del “Make America Great Again”. I repubblicani si chiedono quali siano stati gli errori e tutti indicano Trump. La selezione dei candidati ha spesso favorito la controparte democratica, considerata meno estremista dagli elettori moderati indecisi. Hanno poi perso la battaglia molti candidati governatori come in Pennsylvania, in Kansas, in Michigan e in Wisconsin, dopo aver speso molto per spot elettorali per spaventare su teoria gender, “pornografia” e Critical race theory nelle scuole – che sono gestite dai singoli stati –  ma che non hanno toccato l’elettore indeciso. Molti erano poi impreparati e hanno basato la campagna solo sull’odio verso Joe Biden. Anche il negazionismo elettorale, e il fantasma degli attacchi del 6 gennaio, hanno frenato l’elettore indipendente. La paura dell’estremismo violento è stata più forte dell’inflazione. 

 

Ma, a guardare i numeri, non si può dire che il trumpismo sia stato spazzato via. In moltissime corse la differenza di voto è sottile, e ci sono pupilli di Trump, come il best-sellerista J.D. Vance, che sono riusciti a vincere.  A lungo molti conservatori hanno appoggiato Trump, per convenienza, come Ron DeSantis o il senatore Marco Rubio, che ora potrebbero diventare i suoi due nemici numeri uno, visto che sono andati molto bene in Florida. Avranno il coraggio di guidare la fronda anti Trump? Si capirà qualcosa di più la prossima settimana quando a Las Vegas si terrà l’incontro annuale della Republican Jewish Coalition, la lobby degli ebrei repubblicani, dove parleranno DeSantis, l’ex segretario di stato Mike Pompeo (trumpiano) e altri big conservatori, ma non lo stesso Trump. Nella serata non si potrà ignorare the elephant in the room, e si capirà se i conservatori hanno infine deciso se fare i conti con l’ex presidente o lasciargli ancora lo spazio che ha avuto finora anche dopo essere uscito dalla Casa Bianca. Intanto l’ex presidente ha detto che farà “un annuncio molto importante” il 15 novembre: candidarsi per il 2024. La sua squadra gli ha detto di aspettare almeno il risultato della Georgia, dove si annuncia un ballottagio al Senato che si terrà il 6 dicembre, ma lui, come sempre, ascolta soltanto sé stesso.
 

Di più su questi argomenti: