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New York, lo stato dem che potrebbe diventare laboratorio (repubblicano) d'America
L'attenzione si concentra in questi giorni sulle ragioni del mancato trionfo repubblicano e della buona tenuta dei democratici. È importante andare a vedere dove le cose sono andate invece malissimo per il partito del presidente
Ci sono luoghi, in America, dove i repubblicani sono andati meglio del previsto. Quelli eletti a NY State alle midterm sono aumentati a sorpresa, con Long Island che è stata saccheggiata. In vista del 2024, l'allarme per Joe Biden è un regolamento di conti fra i democratici, tra i più radicali come AOC e i moderati
C’era il candidato impresentabile, George Santos, uno che a gennaio 2021 era tra i rivoltosi che hanno dato l’assalto a Capitol Hill. C’era quello improbabile, Anthony D’Esposito, in corsa in una contea a Long Island dietro l’aeroporto JFK, ritenuta solidamente democratica. E c’era quello con la missione impossibile, Mike Lawler, che si batteva nei sobborghi benestanti dove abitano Bill e Hillary Clinton, controllati da sempre da un mandarino democratico. Tutti e tre, l’impresentabile, l’improbabile e l’impossibile, si ritroveranno a Washington da nuovi deputati repubblicani della Camera. E saranno in buona compagnia di altri colleghi di partito eletti nello stato di New York, al posto di democratici che erano dati per scontati dai sondaggi.
È innegabile che il partito di Joe Biden abbia contenuto i danni e battuto i pronostici nelle elezioni di midterm martedì scorso. La tanto attesa “ondata rossa” a trazione trumpiana non c’è stata e Biden, comunque finiscano i conteggi del voto e il conseguente controllo del Congresso, ha ottenuto uno dei migliori risultati in un midterm per un presidente al primo mandato e con una popolarità sotto il 50 per cento. Ma ci sono luoghi, in America, dove i repubblicani sono andati meglio del previsto e dove si aprono enormi interrogativi politici.
Mentre l’attenzione si concentra in questi giorni sulle ragioni del mancato trionfo repubblicano e della buona tenuta dei democratici, è importante andare a vedere dove le cose sono andate invece malissimo per il partito del presidente. Perché è qui che si trovano i possibili indizi su cosa può servire all’una e all’altra parte per costruire la vittoria nel 2024.
Si può discutere a lungo di cosa potessero fare di diverso i democratici in Georgia e in Nevada, o di cosa avrebbe dovuto fare Trump per tenersi la Pennsylvania. Ma sono due gli stati che hanno davvero spiazzato tutti.
Uno è sicuramente la Florida, dove il governatore Ron DeSantis ha trascinato i repubblicani a una vittoria storica, che sembra destinata a sottrarre per molto tempo lo stato dalla lista di quelli “swinging”, gli incerti che un tempo decidevano la corsa alla Casa Bianca. La Florida oggi è nettamente rossa (il colore del Grand Old Party) e DeSantis costruirà su questo successo la propria sfida a Donald Trump per la leadership del partito. Che la Florida andasse a destra era intuibile, ma ha sorpreso l’entità dello spostamento. La popolazione dei latinos, gli elettori di radici ispaniche, per esempio, si è confermata soprattutto in Florida una delle realtà meno comprese dagli osservatori, che continuano a considerare in uno stesso gruppo gente che ha radici in Messico o a Cuba, in Venezuela o in Colombia, senza capire che sono uniti solo dall’uso dello spagnolo come prima lingua. È da queste incomprensioni che saltano fuori spostamenti di ben 19 punti come quello registrato dal voto ispanico in Florida: da una vittoria di 8 punti percentuali per Biden nel 2020, si è passati a un +11 per DeSantis.
Ma le vere sorprese sono arrivate da New York, uno stato che troppo spesso viene dato per scontato.
Quando si pensa a New York, la prima immagine che viene in mente è quella di grattacieli, progresso e una sostanziale diversità dall’America “profonda”, un comune sentire più vicino a quello di San Francisco che non a quello di St. Louis. Ma quella è New York City, cioè Manhattan, Brooklyn e dintorni. Altra cosa è New York State, uno stato in buona parte rurale grande quanto la Grecia che va dall’Atlantico al Canada, si estende fino al Midwest e raccoglie tutte le complessità e le contraddizioni americane. Un territorio con una popolazione sbilanciata verso la gigantesca metropoli, ma politicamente controllato da una piccola “Washington”, Albany, che è un covo di lobbisti, consulenti e faccendieri vari. Un osservatorio molto più interessante di quanto si pensi per cercare di capire dove va il paese. Le elezioni di midterm lo hanno confermato.
Il seggio del Senato in ballo nel voto di metà mandato è rimasto saldamente nelle mani del navigato Chuck Schumer. I democratici hanno mantenuto senza troppi problemi anche il governatore, con Kathy Hochul confermata nell’incarico dopo essere entrata in emergenza a sostituire Andrew Cuomo affondato dagli scandali. La Hochul resterà a vivere nella vecchia residenza ufficiale di Albany che secondo Cuomo la notte è infestata dai fantasmi. Ma lo spettro principale che dovrà combattere è quello del disastroso epilogo dell’avventura politica della dinasty italoamericana che da Mario ad Andrew aveva dominato la vita pubblica per decenni.
La governatrice Hochul però dovrà gestire uno stato che non è più color blue democrat come in passato. Il terremoto è avvenuto nei distretti dove si è votato per rinnovare la pattuglia dei deputati destinati alla Camera di Washington e in parte anche nel voto per scegliere i membri dell’assemblea di Albany.
Long Island, la lunga isola che da New York si distende verso l’oceano, è stata saccheggiata e conquistata dai repubblicani. Santos, un trumpiano che aveva partecipato all’assalto al Capitol, ha strappato al democratico Robert Zimmerman il terzo distretto congressuale che occupa la contea di Nassau, una fetta di Long Island a ridosso del Queens che si estende fino alle baie resi celebri dal Grande Gatsby di Scott Fitzgerald. Gli italoamericani Anthony D’Esposito e Nick LaLota si sono impossessati di altri due seggi di Long Island, infiltrandosi fino agli Hamptons, in mezzo alle ville al mare dei newyorchesi ricchi e progressisti (che però votano a Manhattan).
Un altro italoamericano, Marc Molinaro, è andato a prendersi un vasto distretto al centro dello stato che comprende anche la contea di Ulster, diventando così il deputato che rappresenterà un luogo sacro per la cultura di sinistra: il grande prato del concerto di Woodstock del 1969. La sorpresa più grossa però è stata quella di Mike Lawler, che ha conquistato il 17esimo distretto congressuale, affacciato sulle due sponde del fiume Hudson. I distretti sono stati tutti ridisegnati di recente, ma da quelle parti comandava da tempo Sean Patrick Maloney, che alla Camera a Washington era tra l’altro il responsabile delle campagne elettorali dei democratici. Lawler ha vinto per 50,6 contro 49,4, nonostante la ricca contea di Westchester, dove abitano anche i Clinton, si sia espressa in maggioranza per i democratici: ha trovato i voti vincenti in altre contee e ha ottenuto una vittoria che ha inorridito i democratici.
Quando tutti i conti saranno fatti, i repubblicani avranno 10-12 deputati su 26 nella delegazione che andrà a rappresentare lo stato di New York alla Camera. Ne avevano 8 nel precedente Congresso, nel quale la delegazione ne contava 27. È un forte campanello d’allarme per il partito di Biden, che nel 2024 potrebbe non dare più per scontato niente neppure a New York.
La forza elettorale dello stato ovviamente risiede soprattutto nella metropoli di otto milioni di abitanti, ma anche tra Manhattan, Bronx, Brooklyn e Queens (Staten Island è una roccaforte repubblicana) non è detto che domini sempre il colore blu. Negli anni Novanta il sindaco era il repubblicano Rudy Giuliani e il suo successore Michael Bloomberg era un personaggio a cavallo tra i due partiti. Negli ultimi anni, la pessima amministrazione di Bill de Blasio, unita agli scandali di Cuomo, non ha certo giovato molto alla reputazione del partito democratico.
Il tema adesso anche nello stato di New York, come nel resto del paese, per i progressisti resta la scelta tra spingere per dare maggior potere all’ala più radicale o cercare di mantenere una posizione moderata. L’eroina della prima scelta è ovviamente Alexandria Ocasio-Cortez, che nel proprio distretto tra Bronx e Queens ha stravinto anche stavolta con il 70 per cento dei voti. AOC, come la chiamano tutti, di fronte all’avanzata repubblicana nel suo stato ha subito tuonato via Twitter contro la leadership del proprio partito, chiedendo la testa dello stato maggiore di Albany e in particolare del presidente dei democratici newyorchesi, Jay Jacobs.
Ma molti vedono proprio nell’estremismo di AOC e dei suoi seguaci il cuore del problema. La vittoria dei repubblicani a Long Island o nella valle dell’Hudson ha premiato candidati che hanno messo al centro l’economia, l’inflazione e il tema della sicurezza, diventato di nuovo critico a New York e nei suoi sobborghi, dopo che una serie di episodi di violenza post-pandemia hanno cambiato la percezione della gente su quanto sia protetta la “città che non dorme mai”.
È il tema che in buona parte aveva portato alla vittoria anche il nuovo sindaco di New York, l’ex funzionario di polizia Eric Adams, un moderato capace di lavorare anche con i repubblicani.
AOC vorrebbe un partito concentrato sulle battaglie culturali e sulla difesa della democrazia, percepita come minacciata da Trump o dalle grandi piattaforme digitali che dominano la vita pubblica. E qui nasce la scelta strategica che i democratici dovranno fare nei prossimi anni anche nello stato di New York. Perché è su temi come l’aborto e la difesa della democrazia che è nata la mobilitazione che ha permesso di non perdere rovinosamente a midterm in alcuni stati chiave.
La domanda che si faranno i democratici è se cominciare a considerare New York come la Pennsylvania. Se si vanno a guardare le mappe geografiche del nordest americano, salta agli occhi come i due stati siano largamente confinanti. Le contee a sud di Buffalo, Rochester o Syracuse hanno paesini ed economie che le rendono praticamente non distinguibili da quelle del nord della Pennsylvania.
Si può viaggiare in auto per centinaia di chilometri in queste aree rurali e non rendersi conto in quale dei due stati ci si trovi. Eppure, politicamente, sono mondi che fino a oggi avevano una distanza siderale. New York solidamente blu (Biden nel 2020 si è aggiudicato lo stato 60-40 contro Trump), la Pennsylvania eterno “swing state” sempre in bilico tra maggioranze repubblicane nelle aree rurali e democratiche nelle grandi città come Filadelfia o Pittsburgh.
La spallata decisiva nelle elezioni dei giorni scorsi per far eleggere il democratico John Fetterman e battere il trumpiano Mehmet Oz, è arrivata da un finale di campagna nel quale Biden, affiancato dall’ex presidente Barack Obama, ha girato lo stato sventolando lo spauracchio della “fine della democrazia”. E’ questo tema, insieme all’aborto, che ha mandato gli elettori democratici a votare in massa e a decidere le sorti di uno scontro che era decisivo per il midterm.
A New York, specialmente quando si tratta di elezioni presidenziali, i democratici vanno al seggio per dovere civico, ma finora non hanno mai percepito il rischio di perdere lo stato, né tantomeno la democrazia. Le cose adesso cambieranno? Di certo non c’è il rischio che diventi uno “swing state”, vista la predominanza democratica alle elezioni presidenziali. Ma potrebbe diventare un laboratorio, un territorio da trattare come se fosse a rischio anche se non lo è, lanciando anche qui mobilitazioni su temi valoriali. Una mossa che potrebbe però rivelarsi controproducente. Perché susciterebbe una contromobilitazione dei repubblicani contro la cultura “woke”, un’accusa ai democratici di essere lontani dai problemi reali della gente e, in fin dei conti, il rischio per il partito di Biden di veder ripetere la piccola ondata rossa che nel midterm ha fatto perdere seggi considerati sicuri.
Nell’immediato, quello che sicuramente partirà è un regolamento di conti in casa democratica. AOC ha fatto la prima mossa, ma poi toccherà ai pesi massimi locali come Schumer, a Hillary Clinton che qui è stata senatrice per anni e ha ancora un forte peso, alla Hochul considerata l’astro nascente locale. Albany, la piccola Washington, sarà il principale terreno di scontro ma ovviamente l’epicentro mediatico sarà tutto a Manhattan, con la sua concentrazione di giornali, network tv e miliardari pronti a finanziare le campagne. È qui che, con la scusa di fare i conti per la perdita di seggi importanti finiti ai repubblicani, si giocherà buona parte della partita che dovrà decidere chi sarà il portabandiera del partito nel 2024. Biden è uscito rafforzato dal voto di midterm, ma Ocasio-Cortez e l’ala più intransigente useranno i casi della Florida e di New York per sostenere che c’è bisogno di un forte cambiamento per mantenere la Casa Bianca tra due anni.
Lo scontro sarà duro e avverrà sotto gli occhi di Donald Trump, che annuserà l’aria che tira dal suo ufficio sulla Quinta Avenue e cercherà di approfittarne.