l'attacco nella capitale
Quanto pesa sulle elezioni in Turchia la minaccia terroristica dopo Istanbul
L’attentatrice arrestata confessa legami con il Pkk. La preoccupazione diffusa nell’opinione pubblica è che tali attacchi possano essere il preludio per una nuova ondata di attentati come è già avvenuto in passato in prossimità di scadenze elettorali. Erdogan tra politica interna e mediorientale
Ankara. In molti in Turchia si interrogano sui possibili autori dell’attentato al centro di Istanbul. La prima cosa che viene in mente è che a compiere un simile atto terroristico possa essere stato il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) come sostengono le autorità turche oppure lo Stato islamico o al Qaida. La preoccupazione diffusa nell’opinione pubblica è che tali attacchi possano essere il preludio per una nuova ondata di attentati come è già avvenuto in passato in prossimità di scadenze elettorali e come accadde dopo le elezioni del 7 giugno 2015, quando il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) perse la maggioranza assoluta in Parlamento grazie al successo del Partito democratico dei popoli (Hdp), filocurdo.
Il leader del partito ultranazionalista, Devlet Bahçeli, ferocemente anticurdo, si rifiutò di formare un governo di coalizione con la componente curda e quindi si ritornò al voto il 1° novembre di quell’anno. Il quel contesto di stato di emergenza e di coprifuoco nel sudest anatolico, l’Akp vinse le elezioni e riconquistò la maggioranza assoluta in Parlamento. I cittadini spaventati dal ritorno del terrore preferirono ridare la fiducia al partito del presidente Erdogan che fino ad allora era riuscito a garantire una sufficiente stabilità e sicurezza per il paese.
Il ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, ha accusato il gruppo armato del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e la sua diramazione siriana, il Partito di unione demoratica (Pyd) di essere responsabili dell’attentato compiuto nel cuore commerciale e turistico della megalopoli turca. Sia dal quartier generale di Qandil del Pkk in nord Iraq sia dal comando delle Unità di protezione del popolo (Ypg), l’ala armata del Pyd, sono arrivate ferme smentite. La polizia turca ha arrestato 46 persone, inclusa una donna sospettata di aver piazzato la bomba, una cittadina siriana, nata ad Aleppo nel 1999, di nome Ahlam Albashir, che avrebbe confessato di essere stata addestrata dal Pkk in Siria. La Turchia vede le Ypg, alleate degli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis in Siria, come un’estensione del Pkk, contro la quale conduce una guerra da tre decenni. Un alto funzionario turco ha dichiarato alla Reuters che le autorità non escludono responsabilità dello Stato islamico e non è la prima volta che il ministro Soylu in una prima fase delle indagini abbia attribuito al Pkk la responsabilità di un attentato per poi smentire tale versione.
Al momento possiamo dire che la Turchia sta vivendo una fase molto critica. Si trova infatti alla vigilia di cruciali elezioni dall’esito per nulla scontato e i fondamentali economici del paese sono i più negativi dal 1998 in poi. Inoltre l’esercito turco è impegnato a porre fine alla presenza del Pkk lungo tutto il suo confine sudorientale con la Siria e con l’Iraq per costituire un “corridoio sunnita”, da Aleppo a Mosul, che passerebbe dalla Siria settentrionale fino all’Iraq dove vi è il quartiere generale del partito armato curdo. In maniera tale da reinsediare in quell’area buona parte dei rifugiati siriani che sono ospitati in Turchia.
Ankara mira a bloccare l’accesso alle vie di comunicazione e di approvvigionamento del Partito dei lavoratori del Kurdistan al confine turco-iracheno e a quello siriano-iracheno completando così il restante corridoio terrestre, dopo quasi 40 anni di infiltrazioni dei combattenti curdi del Pkk in Turchia e in Siria. Sono ancora in corso le operazioni militari nelle regioni settentrionali dell’Iraq di Metina, Zap e Avasin-Basyan, con la partecipazione di commando e forze speciali, via terra e via aerea e con il supporto dell’Iran. Droni, aerei da guerra e artiglieria turca si sono per la prima volta spinti di oltre 30 chilometri in territorio iracheno per colpire al cuore del Pkk. L’organizzazione curda armata è militarmente sotto scacco in Siria e in Iraq, e in Turchia è politicamente isolata dal momento il leader curdo Selahattin Demirtas, in prigione dal 4 novembre del 2016, in due recenti lettere ha raccomandato, per meglio dire implorato, la componente del Partito democratico dei popoli a recidere ogni legame con il Pkk e a concentrarsi sulla lotta politica parlamentare, democratica e pacifica per i diritti di tutte le minoranze etniche e religiose del paese. Duran Kalkan, membro anziano del comitato centrale del Pkk, recentemente aveva invece affermato che il gruppo non sarebbe caduto nella “trappola del nemico” mettendosi in una guerra di trincea e ha promesso di portare il terrore nei centri urbani della Turchia. Il Pkk sente di non avere più il monopolio della questione curda, di aver perso il suo ruolo politico e militare e dunque lancerebbe un messaggio ad Ankara facendo intendere che è ancora in grado di fare male e cerca di alimentare divisioni all’interno dell’Hdp in vista delle imminenti elezioni.
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