Olaf Scholz  e Xi Jinping (Ansa)

prospettive

Perché è tanto difficile per Berlino ripensare il rapporto con la Cina

Giorgio Arfaras

La bilancia commerciale complessiva è in pareggio. Ma la situazione cambia e si fa più complicata considerando le grandi aziende, per cui il mercato del Dragone è sostanziale. Per esempio un terzo e più dei ricavi delle tre maggiori case automobilistiche –  Volkswagen, Mercedes e Bmw – arrivano da Pechino

Secondo l’Handelsblatt le aziende tedesche in Cina stanno perdendo parte del controllo sugli affari locali. Nello stabilimento di una delle maggiori società tedesche i membri del Partito comunista cinese contribuiscono, attraverso la cellula aziendale del partito, alle decisioni sulla sede, sui modelli di business, e sul personale. In passato le cellule del Partito nelle imprese straniere si occupavano soprattutto del benessere dei lavoratori cinesi. Oggi le cellule di partito all’interno delle aziende debbono assicurare che le persone seguano la linea del partito. L’esposizione tedesca verso la Cina, tralasciando l’influenza delle cellule di partito nella conduzione delle imprese, può essere misurata in due modi. Come peso dell’interscambio con la Cina, e come peso della Cina nel fatturato delle imprese maggiori.

 

Le esportazioni tedesche verso la Cina sono di poco inferiori al 3 per cento del pil tedesco. Le importazioni tedesche di beni cinesi sono circa pari alle esportazioni tedesche in Cina. La bilancia commerciale tedesca con la Cina è quindi in pareggio. Dei numeri per nulla drammatici da affrontare nel caso di un contenzioso fra i due paesi, o fra le democrazie e le autocrazie. Il quadro cambia, e in misura sostanziale, se osserviamo le grandi imprese tedesche. Un terzo e più dei ricavi delle tre maggiori case automobilistiche – la Volkswagen, la Mercedes, la Bmw – hanno origine in Cina (va ricordata anche l’importanza di questa tre case nelle esportazioni italiane di componenti). Dal che si arguisce quanto possa essere difficile per i tedeschi, soprattutto per le grandi imprese e non soltanto automobilistiche, sostituire il mercato cinese con altri mercati. Un nodo che assomiglia a quello russo. Le esportazioni di gas russo verso l’Europa erano, prima della guerra, pari a circa due terzi delle esportazioni totali di gas.

 

Una parte non modesta dello sviluppo economico tedesco ruotava sull’importazione di materie prime dalla Russia, e ruota su una quota elevata di esportazioni e di investimenti verso l’ex mondo comunista, come quello dell’Europa dell’est, o ancora comunista, seppur in modo anomalo, come nel caso della Cina. Qual è la logica della decisione di aprire ai paesi dell’est? I tedeschi sanno fare le automobili, i russi non le sanno fare; i russi hanno il gas in quantità ciclopiche, perciò i tedeschi lo possono comprare a un prezzo ridotto che consente il controllo dei costi di produzione che rende possibile la vendita ai russi delle loro automobili a dei pezzi accettabili. I tedeschi sanno impiantare fabbriche di auto in Cina, mentre i cinesi possono esportare in Germania i beni che accrescono, grazie ai prezzi bassi, il potere di acquisto dei tedeschi.

Da queste esempi si evince l’idea che, tanto maggiore è il legame fra le diverse economie, tanto maggiore è il benessere che si ha se si commercia, e tanto minore sarà l’interesse verso il conflitto militare. Insomma, il libero commercio, se mutualmente vantaggioso, porta e rende stabile la pace. Questa idea si era diffusa prima dello scoppio della Prima guerra, poi con la caduta del Muro, e poi ancora con l’ingresso della Cina negli accordi internazionali di commercio. Negli ultimi tempi sono arrivate l’aggressione all’Ucraina e le tensioni su Taiwan. Tensioni che hanno mostrato come il percorso verso la democrazia si sia per il momento arrestato. Le dinamiche liberoscambiste che, se perseguite, portano alla pace, non convincono come prima. Sono tornate, come negli anni Trenta, le tesi legate alla ricerca di potenza dei paesi come spiegazione delle tensioni in atto.
 

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