Dietro al filo spinato. Kyiv costruisce un muro con la Bielorussia

Micol Flammini

L’esercito ucraino denuncia oggi  il ritorno di un numero sempre più sospetto di truppe di Mosca sul territorio bielorusso. I precedenti in Europa, che si barrica dall’est, e la paura e l'incomunicabilità con la Russia

Roma. Lungo la frontiera tra l’Europa e il mondo russo-bielorusso, si srotolano più di duemila chilometri di filo spinato. Basta andare su quei confini per vedere, tangibile, la presa di coscienza del fatto che è impossibile fidarsi, che l’incomunicabilità è diventata pericolosa, per l’Ucraina persino mortale. Kyiv ha iniziato a costruire un muro al suo confine con la Bielorussia, uno dei punti da cui, il 24 febbraio, è partita l’invasione, inclusi gli uomini che puntavano sulla capitale: obiettivo essenziale per far capitolare il legittimo governo ucraino e il presidente Volodymyr Zelensky. Le truppe russe erano arrivate in Bielorussia qualche settimana prima, con la scusa di esercitazioni militari congiunte con l’esercito bielorusso. Avevano installato uomini e mezzi che sembravano troppo minacciosi e numerosi per una normale esercitazione militare, per quanto possente. Pochi giorni dopo, infatti,  era iniziata l’invasione. L’esercito ucraino denuncia oggi  il ritorno di un numero sempre più sospetto di truppe di Mosca sul territorio bielorusso. 

 

Il dittatore di Minsk, Aljaksandr Lukashenka, in teoria non è parte del conflitto, ma prestando il suo territorio ha appaltato a Mosca la gestione delle sue frontiere e utilizza questa leva per minacciare Kyiv, nonostante  sappia di non avere un esercito competitivo né motivato per  combattere contro i vicini ucraini. Ad aver allarmato l’Ucraina è stato però l’annuncio di nuove esercitazioni militari congiunte, che si terranno entro la fine dell’anno tra l’esercito di Mosca e quello di Minsk, e il senso di qualcosa già vissuto unito al facile calcolo, che porterebbe  la Russia ad  attaccare di nuovo da nord per distrarre le operazioni dell’esercito ucraino  a sud e a est, hanno spinto    l’Ucraina ad avviare la costruzione di  una recinzione con filo spinato, un fossato e un terrapieno. Il muro passa per l’oblast di Volyn, dove sono stati già completati tre chilometri, proseguirà anche a Rivne e Zhytomyr e lo stato maggiore delle Forze armate ha detto che il confine verrà anche minato. Prima dell’invasione, tra il 2020 e il 2021, quella frontiera era tra le più aperte della regione. Passavano con regolarità mezzi civili  e anche i dissidenti bielorussi che fuggivano dalla repressione di Lukashenka e guardavano all’Ucraina come il paese che era riuscito a ottenere quello per cui loro lottavano e venivano imprigionati: la democrazia. Passavano quel confine e sentivano la libertà, oggi sono molti i bielorussi che si sono arruolati per sostenere Kyiv nella lotta contro Mosca, che, come la loro fuga, ha molto a che fare proprio con la libertà. 

 

La Bielorussia è oggi un paese murato e altri  hanno deciso, prima di Kyiv, di chiudersi dietro a una barriera:  Polonia, la Lituania e la Lettonia. I tre paesi hanno scelto di  costruire un muro dopo che, nel 2021, il dittatore bielorusso ha avviato un vero traffico di migranti ben organizzato: offriva il trasporto in Europa a persone che provenivano dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dallo Yemen e pagavano circa quattromila euro per ritrovarsi in una terra di nessuno tra la Bielorussia e l’Ue. I migranti arrivavano a Minsk, poi venivano trasferiti al confine e, letteralmente, spinti da militari bielorussi verso i paesi dell’Ue che, a loro volta, schieravano l’esercito per sigillare la frontiera. Il filo spinato ora serve sia a bloccare il flusso di migranti, sia a evitare che sia scoperto quel fianco su cui si esercitano le truppe belligeranti del presidente russo, Vladimir Putin.

 

Eppure per oltre trent’anni, la Polonia è vissuta anche con un altro confine molto sensibile ed esposto alle ingerenze del Cremlino, quello con l’exclave russa di Kaliningrad, che proprio perché incastonata nel territorio europeo è tra le regioni più militarizzate di tutta la Russia.  Varsavia ha sopportato questa posizione a lungo, e ora ha invece deciso di finanziare, dopo la costruzione del muro con la Bielorussia, anche quello al confine con Kaliningrad. La Polonia non ha direttamente  paura di un’invasione armata, teme che lungo quel confine, la Russia possa utilizzare gli stessi metodi del dittatore Lukashenka  con l’obiettivo di destabilizzare la politica polacca prima e quella europea poi. Dopo tutto, la Lituania aveva già iniziato ad attrezzarsi nel 2017, costruendo però una recinzione meno solida del previsto e che si interrompe in molti punti, tra boschi ricchi di funghi e fiumi. Vilnius aveva iniziato a pensarci quando Mosca intensificava le esercitazioni militari nell’exclave, facendo sentire la pressione, nel paese che, pur parte della Nato, temeva provocazioni. 

 

L’Ue sta chiudendo il suo orizzonte verso la Russia in tutti i  lati, progetti e barriere sono nati anche in Estonia, in Lettonia, mentre la Finlandia ha approvato un progetto per la costruzione di un muro di acciaio di 260 chilometri, che bloccherebbe circa un quinto della sua frontiera con Mosca. Quei confini sono sempre stati monitorati, ma il muro è il segnale dell’incomunicabilità, dell’ignoto, dei due mondi che tornano a separarsi con una cortina che si fa di nuovo tangibile, issata nella speranza di fermare invasioni, in Ucraina, e paure, in Europa. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)