Il paese che non è crisi-resistente
Che fine ha fatto la Germania? Conflitti, crisi e scandali sull'immagine della prima della classe
Dal 2015 lo stato più potente d'Europa ha cominciato a montarsi la testa, invocando il motto "Germany first". Da quando Angela Merkel pronunciò il "wir schaffen das" ("ce la facciamo") è iniziato l'ingresso della politica dei toni altisonanti e dei pochi fatti
Was ist mit Deutschland los? Che succede con la Germania? Sono in molti, dentro e fuori i confini nazionali, a chiederselo da qualche tempo. Una lunga serie di contraddizioni, conflitti, crisi e scandali agitano il paese e lo rendono per molti versi irriconoscibile agli occhi di chi, all’estero, era abituato a conoscerlo come la quintessenza dell’affidabilità, dell’efficienza e della stabilità. E che sollevano, all’interno, crescenti interrogativi e paure su dove stia portando la navigazione. Dopo un placido letargo in cui il gigante al centro dell’Europa – prima nei 16 anni di governo di Helmut Kohl, poi altrettanti di Angela Merkel, e di mezzo sette di Gerhard Schröder la cui coalizione rosso-verde non difettava certo di autostima ma abbondava semmai di sicumera identitaria – rassicurava i partner con la sua esemplare credibilità, oggi la Germania offre di sé una immagine distopica. Numerosi esempi riflettono un quadro incoerente e spaesato: i tentennamenti iniziali nei confronti della Russia dopo l’aggressione il 24 febbraio dell’Ucraina; la politica energetica, la cui dipendenza da Mosca ha indotto Berlino a spacciare fino all’ultimo il gasdotto Nord Stream 2 come un progetto meramente economico (stoppato in extremis alla vigilia dell’invasione); le forniture di armi a Kyiv partite col piede zoppo; la politica verso la Cina dettata da interessi economici; l’Europa – alfa e omega con Kohl della politica estera – orientata al tornaconto nazionale (vedi i 200 miliardi di euro in soccorso della propria economia, in barba alle conseguenze per le industrie degli altri stati Ue, come l’Italia, le cui finanze non consentono margini); e l’asse franco-tedesco che scricchiola a causa proprio di questa politica egoistica.
Una coalizione di governo divisa da interessi e clientela in parte agli antipodi: da un lato socialdemocratici e Verdi, dall’altro i liberali
Questi e molti altri i segnali che la Germania non sembra più la stessa. Vedi i contrasti fra governo e opposizione, le dissonanze nella maggioranza, o i bisticci, le rivalità e gli scandali che balzano all’onore delle cronache: materia di potenziali conflitti nella società e di disaffezione dei cittadini. A pesare sono le incongruenze di una coalizione divisa da interessi e clientela in parte agli antipodi: da un lato i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz (Spd) e i Verdi del vicecancelliere e ministro dell’Economia Robert Habeck e della ministra degli Esteri Annalena Baerbock, e dall’altro i liberali del ministro delle finanze e leader liberale Christian Lindner (Fdp), la cui piattaforma programmatica avrebbe in realtà più affinità con l’opposizione cristiano democratica Cdu-Csu.
Non solo, tensioni si manifestano anche fra Spd e Verdi, ad esempio su ambiente, Cina e Ucraina. Su nucleare e clima i Verdi sono più radicali dei socialdemocratici e in politica estera più propensi ad anteporre i diritti umani e i valori agli interessi economici. In aggiunta, dentro i Verdi si profilano frizioni fra vertici e base, come si è visto al recente congresso in cui è passata una mozione per la riapertura di due sole centrali nucleari, mentre alla fine il cancelliere Scholz, incalzato dall’opposizione Cdu-Csu ma anche dall’alleato liberale, ha deciso di riaprirne tre, e pare che Habeck ne fosse al corrente già prima del congresso e che quindi la mozione sulle due centrali sottoposta alla base sarebbe stata una “ammuina”. Inoltre, fra i due big Habeck e Baerbock ci sarebbe rivalità: i media parlano di un conflitto sottotraccia per il primato di popolarità.
Se prima delle legislative, e fino alla crisi energetica, la vera star dei Grünen era Habeck, forte anche del “beau geste” di cedere alla Baerbock l’imprimatur per la candidatura alla cancelleria, adesso, dopo una serie di passi falsi, come il pasticcio della Gasumlage – una sovratassa a carico dei cittadini per salvare le industrie che ha scatenato il putiferio e che ha dovuto poi rimangiarsi – il record di popolarità è della Baerbock. La ministra, che dice di voler perseguire una politica estera “femminista” e basata sui valori, si prende molte libertà battendo il chiodo sui diritti umani, criticando dittatori e autocrazie, spesso superando, e smentendo, la politica prudenziale del cancelliere Scholz.
Qualche scivolone lo ha fatto anche lei, ma finora le sono stati perdonati, come la rimozione al recente G7 a Münster di un crocefisso storico dalla sala conferenze del vertice. Rimozione di cui poi si è scusata dicendo che l’aveva deciso il suo ministero per ragioni di spazio. Sull’Iran, invece, Baerbock e Scholz sono all’unisono. La ministra si è subito schierata con la protesta delle donne condannando le repressioni del regime, e il cancelliere ha usato parole insolitamente dure: “Che razza di governo è uno che spara sui propri cittadini?”, “La colpa dell’esplosione di violenza è solo del governo iraniano”.
La recente decisione di annullare il voto delle politiche di settembre 2021 in alcuni distretti di Berlino dove si erano registrate marchiane irregolarità
Fra le stranezze, anche la recente decisione del Bundestag di dover annullare il voto delle politiche di settembre 2021 in alcuni distretti di Berlino dove si erano registrate marchiane irregolarità (ritardi, file di ore degli elettori e urne aperte dopo la chiusura regolare dei seggi), e dove si dovrà rivotare: fatto senza precedenti che non depone a favore della precisione prussiana.
A completare il quadretto, una postilla minore ma che ha sorpreso: persino la Merkel, la cancelliera senza macchia su cui non è mai stata trovata una virgola da eccepire, è stata richiamata dal governo semaforo per le spese del suo ufficio al Bundestag. Costi esagerati, troppi collaboratori (nove), e il monito che i rimborsi non valgono per spese e viaggi privati ma solo per le missioni su incarico del governo e nell’interesse nazionale. Un’inezia da niente, su cui ci si interroga peraltro da che pulpito sia partita, ma significativa per un paese che aveva fatto del rigore la sua bandiera.
L’opinionista Henryk Broder: “La Germania è una democrazia del bel tempo, non è crisi-resistente, è incapace di improvvisare”
Interrogato su questo cambio di passo, Henryk Broder, acuto opinionista famoso per i suoi giudizi caustici e contundenti, non fa sconti. “Dopo 16 anni di Merkel ce ne vorranno altrettanti per il dopo: i tedeschi sono totalmente incapaci di improvvisare, vogliono sempre avere ragione e insegnare agli altri da primi della classe”. I politici cominciano sempre i discorsi con “proprio noi come tedeschi…”, una sfrontatezza. Lars Klingbeil (leader Spd) ha detto di recente che “se noi riusciremo nella svolta energetica, tutti gli altri ci seguiranno”: in altre parole “vi faccio vedere come si fa”, pura mania di grandezza.
Quando è cominciato tutto ciò? Con Kohl non era così, e forse neanche con la Merkel? “Non ho una data precisa ma dal 2015 (l’anno record dei profughi) la Germania si è montata la testa, il governo non conosce i suoi limiti, il mondo ci ammira e il paese è in uno stato di auto-ammirazione fantastica”, continua Broder. La Germania è “una democrazia del bel tempo, non è crisi-resistente. L’Italia, seconda economia europea, può superare qualsiasi crisi, la Germania no, è incapace di improvvisare. Il suo benessere lo deve a decenni di protezione americana e al conseguente taglio delle spese. Poi è passata a invocare ‘ami go home’ salvo poi disperarsi quando gli americani se ne sono davvero tornati a casa”. Per la Germania ci sono sempre state regole speciali, dai debiti a Maastricht, mascherate addossando la colpa agli americani, “ha sempre messo gli interessi nazionali al primo posto: Germany first esattamente come America first”.
Per spiegare la manipolazione politica della lingua, Broder cita il filologo tedesco Viktor Klemperer, fratello del celebre direttore d’orchestra Otto Klemperer, che analizzò il processo da parte del regime nazista nel saggio Lingua Tertii Imperii (dal latino lingua del Terzo Reich): uso di vocaboli altisonanti o abbelliti, sigle e abbreviazioni al posto di intestazioni o concetti. Un esempio sono i 200 miliardi di aiuti stanziati dal governo Scholz per calmierare i prezzi energetici, chiamati “Sondervermögen” (reddito straordinario): “Per la prima volta nella storia economica i debiti si chiamano reddito, se si arriva a questo si può fare tutto con la gente, anche parlare di reddito di debiti. Oppure la legge ‘Inflationsausgleichsgesetz’ sul pareggio dell’inflazione: assurdo, gli economisti lo sanno bene che non si può fare una legge sull’inflazione, è come fare una legge sul bel tempo in vacanza”.
Un altro paradosso è l’annuncio “della terribile ministra dell’edilizia” Klara Geywitz (Spd) di voler costruire 400.000 case l’anno di cui 100.000 popolari: ora ha visto che non ce la fa, siamo sotto 300.000, e dice: “Non raggiungiamo l’obbiettivo ma lo confermiamo lo stesso”: “magnifico, il mio nome è Icaro, siamo nell’immaginario, nel regno dei sogni, tanti villaggi Potemkin” (finti, con facciate di cartapesta volute dal principe Potemkin per impressionare l’imperatrice Caterina II durante una visita). “Mistificazioni linguistiche in stile Ddr che chiamava il Muro di ‘difesa antifascista’, come se a volerlo scavalcare fossero stati i tedeschi dell’Ovest verso Est e non viceversa”. Secondo Broder, il trend è cominciato con la famosa frase “wir schaffen das”, ce la facciamo, pronunciata dalla Merkel durante la crisi migratoria del 2015-2016: “È stata l’ingresso nella politica nel regno del fantastico”.
Le ragioni? Fattori esterni come la guerra in Ucraina e la crisi energetica? O contraddizioni interne e il non avere ancora trovato il proprio posto nel mondo? “Penso quest’ultima ragione: la Germania ancora non sa se vuole diventare una potenza regionale o una Großmacht”, una grande potenza. A un anniversario della costruzione del Memoriale all’Olocausto a Berlino, “ricordo il discorso di uno storico che diceva che ‘i popoli ci invidiano questo monumento’! E anche l’Olocausto, mi veniva da aggiungere (Broder può permetterselo essendo ebreo originario di Katowice, in Polonia, con genitori sopravvissuti alla Shoah). È esattamente quello che accade in Germania: cerca di mettersi sempre al primo posto ma è in cima solo retoricamente, nella sostanza è rimasta indietro”.
Nella lista delle dissonanze non mancano gli scandali: come quello di frode bancaria Cum-ex che ha lambito Scholz quando era borgomastro di Amburgo, o quello Wirecard, il maggiore scandalo finanziario della Bundesrepublik, per non parlare del nuovo aeroporto di Berlino BER che è costato il triplo del previsto, sei miliardi di euro, ed è stato aperto con nove anni di ritardo nel 2020.
L’opposizione Cdu-Csu, sebbene sia da un anno in testa nei sondaggi, attacca l’esecutivo come può ma non essendo al governo è impotente: l’Unione è accreditata al 28 per cento (la Spd al 19, i Verdi al 21, la Fdp al 6 per cento) e sette tedeschi su dieci (68 per cento) sono scontenti del governo. Il leader Cdu Friedrich Merz non perde occasione per criticare Scholz che si limita a fare annunci senza fare seguire i fatti, dai 100 miliardi stanziati per la ristrutturazione delle forze armate alle svariate centinaia di miliardi per tamponare la crisi energetica e l’inflazione: il governo li chiama aiuti ma sono debiti sulle spalle delle prossime generazioni, attacca. L’ultimo paletto l’Unione l’ha messo al Bundesrat, la camera dei Länder, stoppando la legge sul reddito di cittadinanza (l’ex riforma del lavoro Hartz IV decisa da Schröder nel 2003 che ha traumatizzato la Spd ma rimesso in piedi la Germania). La Cdu-Csu è favorevole all’aumento dell’assegno da 449 a 502 euro ma trova che il nuovo impianto sia troppo lassista e non incentivi la ricerca del lavoro (niente sanzioni a chi rifiuta un’offerta e niente più accertamenti sul reddito e restrizioni varie, in favore di corsi, costosi, di formazione). Per superare lo stallo, la parola passa ora a una commissione mediatrice bilaterale e se non si raggiunge un’intesa, addio entrata in vigore della legge a gennaio come spererebbe il governo.
“I tedeschi si sono svegliati troppo presto dopo il ponte aereo del ’48, si sono risocializzati troppo in fretta e adesso hanno paura”
L’episodio della Merkel è risibile ma sintomatico, “più grande è lo scandalo e maggiore la disponibilità a non occuparsene, tutto l’opposto invece per i piccoli scandali”, come questo della presunta Merkel spendacciona, dove peraltro va chiarito di chi è la manina dietro, ma “sono peanuts, c’è un clima da noccioline: è il risultato di mania di grandezza e impotenza”.
E poi c’è il tema incombente della “paura”, un sentimento ricorrente che evoca brutte associazioni…. “Certo, ‘the german Angst’, al riguardo c’è una bellissima frase di Tucholsky: ‘mai i tedeschi escono tanto fuori di sé come quando ritrovano se stessi’, e ora siamo nella fase del ritrovare se stessi”. “Credo che i tedeschi, soprattutto dopo il 2015, stiano regredendo agli anni dopo il 1945, si sono svegliati troppo presto dopo il ponte aereo del ’48, si sono risocializzati troppo in fretta e hanno paura, i sensi di colpa si possono ereditare, e loro è dal ’48 che aspettano di essere puniti e nessuno li punisce”.
Al netto dei guai, però, considerato che la Germania vanta pur sempre una solida economia, bilanci in ordine e credibilità invidiabile, in molti farebbero volentieri a cambio e la pensano come un famoso motto tedesco: “deine Sorgen möchte ich haben”, mi piacerebbe averli io i tuoi problemi.
L'editoriale dell'elefantino