dall'afghanistan a roma
Fuga dai Talebani: l'altra crisi umanitaria, dimenticata dall'Europa
Mentre la Turchia respinge centinaia di migliaia di profughi afgani, arriva oggi a Fiumicino il terzo ponte aereo da Islamabad. Storie di una persecuzione
“No One asked me why I left Afghanistan” è il titolo che Human Rights Watch ha dato al suo ultimo report, che denuncia decine di migliaia di respingimenti ai danni degli afgani al confine turco. La fuga dall'Emirato dei Talebani, che si è reinsediato a Kabul nell'agosto dello scorso anno, è stata già impedita a oltre 238 mila persone che cercavano di sconfinare dall'Iran. Sebbene foraggiati indirettamente dall'Europa – il “tappo” al flusso degli arrivi, a est, è costato 6 miliardi di euro all'Ue, già versati nelle casse di Ankara -, questi respingimenti fanno della Turchia un paese terzo non sicuro per i richiedenti asilo, dice l'ong. Nell'ultimo anno, il flusso dei profughi afgani si è riversato in misura minore anche lungo la rotta del Mediterraneo centrale, quella che interessa l'Italia. Secondo i dati del Viminale, sono già 7 mila le persone in fuga da Kabul e dalle altre province dell'Emirato islamico che hanno raggiunto le coste italiane imbarcandosi dal Nordafrica. Alla stregua dei profughi ucraini che scappano dalla guerra, nel caso degli afgani si tratta di persone in fuga da un regime dichiaratamente repressivo e violento e quindi tutti con pieno diritto di asilo (con buona pace della guerra che il governo italiano ha rinnovato contro le navi umanitarie).
Ma a fronte di queste vie d'accesso negate, ne esiste un'altra che, seppure con numeri più bassi, ha permesso finora a oltre mille persone di arrivare nel nostro paese, al sicuro. Si tratta dei corridoi umanitari, uno dei quali è stato aperto proprio oggi, con un ponte aereo sulla tratta Islamabad-Roma Fiumicino, con a bordo 158 profughi. Il protocollo d'intesa siglato un anno fa dal ministero dell'Interno si poneva l'obiettivo di portare in salvo 1.200 afgani. Una cifra quasi raggiunta e che ora, chiedono le organizzazioni della società civile a cui è stata affidata la presa in carico dei profughi, aspetta di essere ampliata ulteriormente. “Sull'aereo arrivato oggi a Roma ci sono tante persone la cui vita era in pericolo. Donne, ma anche persone appartenenti alla comunità lgbtq+”, spiega al Foglio Livia Maurizi, responsabile programmi di Nove Onlus, una delle pochissime ong rimaste operative in Afghanistan anche dopo il ritorno dei Talebani, in grado di identificare i casi a maggiore rischio. Sono decine, fino a oggi, le persone che sono riuscite a fuggire con i corridoi dalle violenze dei Talebani grazie agli operatori di Nove.
A Fiumicino, fra gli altri, è sbarcata anche una coppia di omosessuali, perseguitati dal regime di Kabul. Uno dei due ragazzi è stato rapito, sequestrato e ha subito violenza svariate volte. Le torture sono state così feroci da fargli tentare il suicidio. Fortunatamente ha potuto contare sul sostegno della sua famiglia, un’eccezione positiva in un contesto così integralista. Al contrario il suo partner, ha dovuto dissimulare principalmente con i suoi parenti, per evitare conseguenze estreme. Una relazione tanto profonda quanto dolorosa e rischiosa in Afghanistan. Trovare lavoro nella loro situazione è impossibile, alle lunghe i sospetti potrebbero costargli la vita.
“Le persecuzioni contro la comunità gay sono un argomento spesso dimenticato dai media internazionali, pur essendo una categoria spesso vittima di rapimenti, torture e omicidi”, dice Maurizi. Un mese fa è toccato a Hamed Sabouri, uno studente di Medicina catturato a un checkpoint di Kabul dalle forze di sicurezza del regime per poi essere giustiziato. Come monito, il video dell'esecuzione di Hamed è stato diffuso online sui social. Sono delle operazioni di “pulizia” sommaria. “Se accusati di omosessualità presso i Talebani, possono essere arrestati e condannati per il solo sospetto, senza prove e tra le pene previste ci sono la lapidazione ed essere schiacciati sotto il peso di un muro di tre metri”, racconta Maurizi. Non esiste una legge uguale per tutti in un regime che impone repressioni e violenze in modo arbitrario. “Non ci sono degli editti specifici contro le minoranze - spiega ancora la responsabile di Nove – che rimangono realtà vulnerabili e perseguitate”. E questo vale per gli omosessuali, ma anche per le donne o per gli hazara. “E’ fondamentale però mantenere un rapporto dialettico con i talebani, per fornire a tutta la popolazione gli strumenti per poter sopravvivere alla crisi economica sempre più grave”, conclude Livia Maurizi. E' così che si è vietata l'educazione secondaria alle bambine o si è imposto alle donne di astenersi da determinati lavori, dalla guida o dal fare viaggi troppo lunghi senza essere accompagnate da un uomo. Violenze e soprusi dissimulati dal regime Talebano, che dal giorno del suo ritorno a Kabul usa un doppio vocabolario: uno per predicare moderazione rifacendosi il trucco quando c'è da rivolgersi ai media occidentali, l'altro per reprimere ogni forma di libertà.