Putin è Putin, dice Peskov. Il Cremlino non riceve le madri dei soldati

Micol Flammini

Le minacce del finanziatore dei mercenari della compagnia Wagner Evgeni Prigozhin e la calma del portavoce Dmitri Peskov

Putin è Putin, ha detto  Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino, l’uomo deputato a dimostrare che tutto è normale in Russia. Che le istituzioni funzionano, lavorano, esistono e il paese non si è trasformato in un mondo regolato dalla legge del più forte. Parla nel modo più pacato possibile e mercoledì ha risposto a chi gli domandava se il mondo non si trovasse in un momento storico simile alla crisi dei missili di Cuba del 1962. Anche fuori dalla Russia ci si pone la stessa domanda e l’episodio è visto come il punto in cui l’umanità è stata più vicina alla guerra nucleare. Peskov ha detto che “Putin è Putin, Kruscev era Kruscev, che riposi in pace. Non capisco come si possa paragonare Putin a qualcun altro”. Il presidente russo non somiglia all’ex leader sovietico, anche perché ha dimostrato di non essere interessato alla Guerra fredda e forse preferirebbe essere paragonato ad altri, ma Peskov, dopo essersi reso conto che probabilmente smentire il paragone poteva sembrare una minaccia più che rasserenare,  ha cercato di correggersi dicendo che in Russia nessuno ha mai parlato dell’uso di bombe nucleari. 

 

Durante il discorso in cui Putin annunciava la mobilitazione parziale e il referendum di annessione delle quattro oblast che la Russia occupa in Ucraina, il presidente russo aveva detto che avrebbe utilizzato “tutti i suoi mezzi disponibili” per “difendere” i suoi territori. Ognuno ha il suo ruolo al Cremlino, ma a tutti sembra ormai essere sfuggito di mano e il palazzo del presidente si è trasformato nel teatro in cui vanno in scena incertezze e brutalità. La finta minaccia coinvolge tutto e mai si saprà se è il presidente Putin a volerla o se sono i suoi collaboratori a imporla per tenerlo lontano dalla realtà, come quella che il capo del Cremlino eviterà il 27 novembre, giorno in cui è stato previsto un incontro tra lui e le madri e le mogli dei soldati. Una delle organizzazioni più importanti, il Consiglio delle mogli e delle madri, non è stata invitata a partecipare all’incontro, ma al suo  posto ci saranno quelle che Olga Tsukanova, organizzatrice del Consiglio, ha definito donne “addomesticate” che i burocrati del Cremlino hanno “scelto per l’occasione”: finte mogli e finte madri. Il 27 novembre in Russia è la festa della mamma e probabilmente l’evento verrà utilizzato per mostrare alla popolazione un sentimento ben diverso da quello della rabbia e della disperazione che provano i parenti dei mobilitati, che non ricevono più notizie dagli uomini al fronte e, in alcuni casi, li hanno visti partire spaventati e mal equipaggiati. Il Consiglio aveva chiesto da tempo un incontro con il presidente, invece si vedrà rispondere con una farsa. Sono molte le organizzazioni di mogli e madri che si sono costituite in Russia a partire dalla guerra in Cecenia e nessuna di queste è stata invitata al Cremlino, che, secondo notizie non confermate, starebbe invece cercando di organizzare un movimento alternativo di madri patriottiche. 

 

Quello che non si ottiene con la finzione, si ottiene con la forza e lo spavento e su questo sembra lavorare un’altra ala dei collaboratori del Cremlino. Evgeni Prigozhin, conosciuto con l’appellativo di cuoco di Putin e finanziatore dei mercenari della compagnia Wagner, utilizza toni e metodi brutali per lanciare le sue minacce. Dopo aver saputo che il Parlamento europeo aveva approvato la risoluzione che qualifica la Russia come uno stato sponsor del terrorismo e gli eurodeputati avevano chiesto di inserire la Wagner nella lista delle organizzazioni terroristiche, Prigozhin aveva  dichiarato sciolta l’istituzione europea. Un canale di mercenari affiliato alla Wagner aveva poi pubblicato il video di un martello insanguinato messo dentro la custodia di un violino e spiegato che l’oggetto era stato mandato da Prigozhin agli europei come avvertimento. Fonti del Parlamento europeo hanno detto al Foglio che non hanno ragione di credere che il video sia autentico. Ma il messaggio è efferato. La scorsa settimana Prigozhin aveva anche commentato l’esecuzione di un mercenario, che era stato pubblicato sempre dai canali del suo gruppo di mercenari. L’uomo veniva accusato di aver tradito, fatto confessare  e ucciso davanti alla telecamera a martellate. Il commento di Prigozhin era stato: “Il cane merita la morte del cane”,  un avvertimento a tutti coloro che vogliono disertare. 

 

Tra l’immobilità di chi ostenta modi più istituzionali e la cruenza dei messaggi di Prigozhin c’è Putin, che oggi era in Armenia dove è stato accolto dai fischi della popolazione e dalla freddezza dei suoi alleati della Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. L’Armenia era stata l’ultima a chiedere l’intervento di questa Nato dell’est dopo che l’Azerbaigian a settembre aveva ricominciato a bombardare alcuni villaggi armeni, ma il presidente russo si è tirato indietro, non ha prestato soccorso e ha abbandonato il suo alleato. A protestare contro il suo arrivo nelle strade di Erevan c’erano armeni delusi e russi fuggiti che avevano voglia di dimostrare che Putin è Putin e  la Russia non è Putin. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)