La Merkel dice la sua sulla guerra di Putin e scontenta tutti
L'ex cancelliera è contraria all’idea di mandare carri armati ad alta tecnologia a Kyiv in quanto ancora conta sulla possibilità che la Germania riesca a esercitare qualche pressione sulla Russia. L’esito degli accordi di Minsk ci mostra i danni di una pace frettolosa
Milano. L’intervista che Angela Merkel ha rilasciato allo Spiegel – ad Alexander Osang, lo stesso giornalista che aveva intervistato l’ex cancelliera tedesca a giugno – è destinata a non piacere a nessuno: non agli ucraini, perché la Merkel è contraria all’idea di mandare carri armati ad alta tecnologia a Kyiv in quanto ancora conta sulla possibilità che la Germania riesca a esercitare qualche pressione sulla Russia; non ai suoi sostenitori, perché la retorica liberale e multilateralista della sua ultima stagione sembra non esserci più; ma nemmeno ai suoi detrattori, che pretendono delle scuse per continuare a ignorare che quel che pensava la Merkel di Vladimir Putin, cioè che potesse essere governato e contenuto, lo pensavano tutti.
La Merkel elogia la resistenza ucraina ma pensa che la Germania non debba essere la prima nazione a inviare carri armati tecnologicamente avanzati perché – e questa è la prima doccia gelata – “la Germania può ancora trovare un buon modo per smuovere le cose in Russia”: anche il governo dell’attuale cancelliere Olaf Scholz, il successore socialdemocratico, ha fatto della cautela e delle convinzioni del passato la sua politica. Ma in questo modo sta frenando l’azione dell’Europa – con la complicità della presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula von der Leyen – e non di Putin, che nonostante le sconfitte sul campo sta gettando l’Ucraina in una catastrofe umanitaria, approfittando delle cautele e dell’ossessione per i negoziati che è il primo lui a non volere. La Merkel dice che l’invasione della Russia in Ucraina non l’ha sorpresa perché già nell’estate del 2021, quando lei era a fine mandato, “gli accordi di Minsk erano distrutti”. L’ex cancelliera racconta il suo ultimo incontro con Putin, nell’agosto di quell’anno: voleva, assieme alla Francia di Emmanuel Macron (con il quale ancora oggi si scambia dei messaggi: pare che questa consuetudine Macron non sia ancora riuscito a costruirla con Scholz, e questo è uno dei motivi per cui i rapporti tra Berlino e Parigi sono tanto altalenanti), creare un nuovo format di negoziati per prevenire un’eventuale invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. Ma quell’incontro non andò bene perché, dice la Merkel, lei stava per lasciare il suo incarico, “e Putin capisce soltanto il potere”: infatti il presidente russo si presentò all’incontro con Sergei Lavrov, cosa che non era mai accaduta prima, perché non considerava più rilevante avere una conversazione privata con la cancelliera tedesca.
Gli accordi di Minsk faticosamente negoziati (Merkel ricorda la notte nella capitale bielorussa, dove a un certo punto erano rimaste soltanto incomprensioni e vodka) erano già collassati – se si pensa che negli anni di Minsk ci sono stati 13 mila morti in Ucraina, si può dire che non abbiano mai funzionato davvero – ma oggi la Merkel li difende ancora. Cita il film Netflix “Monaco – Sull’orlo della guerra” in cui l’accordo del 1938 viene rivisto con uno sguardo molto più accondiscendente nei confronti di Chamberlain. L’ex cancelliera lo condivide, dice che quell’accordo (passato alla storia come una capitolazione davanti al totalitarismo omicida del nazismo) diede un anno di tempo agli alleati per prepararsi alla guerra contro Hitler: anche gli accordi di Minsk hanno permesso all’Ucraina di diventare militarmente forte, se fosse stata invasa nel 2015 sarebbe stata “spazzata via”. La Merkel cita spesso anche Churchill, sta leggendo il racconto che l’ex premier britannico fece della Seconda guerra mondiale, dice che era meno guerrafondaio di quanto si ricordi, che anzi criticò molto le occasioni mancate della diplomazia. “Sa come Churchill definì la Seconda guerra mondiale parlando con Roosevelt”, chiede la Merkel al suo intervistatore: “La guerra non necessaria”.
Secondo lei, la guerra di Putin di oggi ha chiuso “la fase euforica del trionfo della libertà” dopo il 1989, ora ci sono nuove complicazioni, “la storia non ripete se stessa, ma ci sono delle tendenze: l’orrore scompare quando ci sono dei testimoni oculari, ma anche lo spirito di riconciliazione scompare”, ed è questo il motivo per cui la Merkel non pensa di doversi scusare se l’illusione – anche la sua – nei confronti di Putin si è trasformata in violenza brutale contro gli ucraini. “Il modello dell’occidente per il successo è che le persone stiano bene – dice – E che ne tragga beneficio chiunque, sia che ami la libertà sia che non lo faccia”: è la pax economica che ha scandito le convinzioni della Merkel e di tutta la leadership occidentale con rare eccezioni negli anni Duemila e ancor più nei rapporti con Putin. L’errore di tutti, che l’ex cancelliera emenda dicendo di aver dato tempo alla democrazia di organizzarsi negli anni di Minsk.
La sua consigliera più stretta, Beate Baumann, con cui sta scrivendo le sue memorie, è con lei durante l’intervista. “La signora Baumann sostiene che con l’avvicinarsi della fine del mio mandato sono diventata sempre più pessimista”, dice la Merkel. “Nera”, precisa la Baumann, ed è questo senso di fallimento che pervade tutta la conversazione. Anche se tra le righe un consiglio per il futuro c’è: se gli accordi di Minsk erano vissuti come una tregua, vuol dire che la possibilità che Putin non assecondasse più l’idea della pax economica era nota, ancorché sminuita. Oggi che c’è una gran voglia di mettere fine alla guerra russa con una pace frettolosa, la lezione del 2014 è ancora più lampante: se Putin non viene fermato, se Putin non perde, rifarà la guerra.