Il potere dei popoli
La resistenza ucraina contro i russi, le proteste in Iran e ora in Cina: reagire ai dittatori si può
Storia di un’ispirazione quotidiana di libertà, dai fuochi di Kyiv alle serrande di Teheran ai fogli bianchi di Shanghai. I popoli prendono appunti guardando gli ucraini
Gli ucraini si industriano ogni giorno per sopravvivere al freddo e al buio cui li costringe la violenza dei bombardamenti costanti della Russia di Vladimir Putin: nei nezlamnist', i centri-rifugio creati nelle ultime settimane, si può bere una bevanda calda, ricaricare i telefoni e i computer, navigare in internet. La resistenza dell’Ucraina si è trasformata in una nuova economia domestica fatta di consigli e di solidarietà: come creare fonti di calore non pericolose, dove trovare la legna da bruciare, come tenere acceso un fuoco per più tempo possibile. E’ questa l’ultima espressione dello straordinario carattere ucraino, indomito e adattabile al tempo stesso, pronto a tutto pur di preservare la propria libertà e ricostruire sulle macerie la sua normalità. Questo carattere è anche contagioso. Non è possibile guardare le proteste che vanno avanti da più di settanta giorni in Iran e quelle nuove, spontanee e determinate in Cina senza intravedere un filo rosso che si srotola dall’Ucraina e che collega la voglia di libertà e di normalità di molti altri popoli.
Tendiamo sempre a parlare dei regimi e non delle persone, anzi l’approccio realista alla politica internazionale è fatta proprio di molti dibattiti sui sistemi di potere e i loro leader e di pochissima attenzione alle persone e alla loro forza. Invece quella che stiamo vedendo adesso è proprio una storia di popoli che dicono: basta. Non c’è bisogno di ricorrere a esempi del passato, alle primavere arabe o, per restare nell’area, alla rivoluzione arancione in Ucraina e a quella di velluto in Georgia nei primi anni Duemila per comprendere il presente: anzi, quelle manifestazioni di popolo sono spesso citate come esempi di un fallimento, o nei peggiori dei casi, come esempi di ingerenze straniere e ambizioni internazionaliste che hanno finito per sacrificare proprio i popoli che volevano salvare. I paragoni non servono, il presente già dice abbastanza. La forza con cui gli ucraini sono riusciti a respingere l’aggressione russa serve da esempio per gli altri popoli: si può fare, si possono domare anche i regimi più potenti e più brutali del mondo. Certo, ci vuole il sostegno indefesso di alleati altrettanto determinati; ci vuole un’unità di mezzi e di intenti che raramente si era vista in passato e in altri contesti. Non ci si salva da soli dalle dittature, ma una volta che il desiderio di libertà di un popolo viene legittimato, allora l’esempio può valere per tutti.
I contesti sono ovviamente diversi. Ma così come tendiamo a parlare delle relazioni tra regimi e delle loro convergenze, è possibile sottolineare quello che molti definiscono, non senza idealismo, “il vento della libertà” e questa sua nuova, improvvisa, potente convergenza. In Iran la protesta che nasceva dall’uccisione da parte della polizia morale di una ragazza “mal velata” è diventata una lotta che attraversa tutto il paese, inteso in senso geografico e in senso sociale. Le serrande del bazar abbassate in segno di solidarietà con i manifestanti sono un segnale; i proprietari dei bar che non danno più le multe alle ragazze che si presentano senza velo rischiando loro stessi delle punizioni sono un segnale; Farideh Moradkhani, la nipote della Guida suprema Ali Khamenei, che paragona suo zio ad altri dittatori, grida lo slogan della protesta, donna-vita-libertà, e viene arrestata è un segnale; i manifestanti che gridano ai mullah, sulla banchina della metropolitana di Teheran, “noi siamo liberi” sono un segnale; la dimensione delle proteste nonostante siano state arrestate 14 mila persone, nonostante i racconti e le prime esecuzioni del regime sono un segnale. E’ il mondo che cambia, perché la vessazione di un regime è diventata intollerabile e anche perché qualcuno, da tutt’altra parte e in tutt’altre condizioni, dimostra che si può fare.
Le proteste in Cina scoppiate a causa dell’estremismo della politica Zero Covid del regime di Xi Jinping e diventate in pochi giorni più partecipate, estese e resistenti sono un’altra dimostrazione del potere dei popoli. Le veglie con le candele si sono trasformate in marce, cartelloni, canti in cui si sente il rintocco della parola libertà. Le proteste anche nella Cina della sorveglianza assoluta ci sono di tanto in tanto, ma sono locali, riguardano temi locali e vengono localmente sedate senza che si faccia quasi in tempo a registrare cosa è accaduto. Invece ora i cinesi protestano in almeno sedici città, alcuni chiedono che Xi se ne vada, altri chiedono più democrazia, non si fanno spaventare dagli arresti che stanno andando molto spediti. Il regime sta già mettendo in atto la sua repressione, anche ai danni dei testimoni stranieri, come i giornalisti. Quando ci sono, naturalmente, perché in Iran per esempio ce ne sono pochissimi. E la retorica del regime è sempre la stessa, in Russia, in Iran, in Cina: è colpa dell’occidente e delle sue illusioni di superiorità liberale che sparge di continuo senza poi però essere in grado di mantenere le proprie promesse.
Da quando Putin ha invaso l’Ucraina nove mesi fa, abbiamo spesso discusso e analizzato le conseguenze sul sistema internazionale di questa sfida da parte di un regime contro un paese che si incamminava verso la democrazia. In particolare ci siamo concentrati sugli effetti sugli altri regimi: che lezione stanno imparando dalla guerra di Putin? L’Iran ha approfondito la sua alleanza con la Russia fatta in particolare di rifornimenti militari: i droni iraniani colpiscono le città ucraine, leggeri e infidi, con una capacità di penetrazione molto alta. Ci sono altri accordi in corso che potrebbero portare ad altre forniture, anche di missili con gittate molto lunghe. Pure se in realtà Iran e Russia competono sul mercato energetico dell’est del mondo – l’unico cui hanno accesso, visto che a ovest ci sono i limiti delle sanzioni – dal punto di vista militare e ideologico, almeno nella forma antioccidentale (e spesso anche antisemita), l’alleanza sembra solida. Sui rapporti tra la Russia di Putin e la Cina si sono scritte e dette moltissime cose: il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è in missione questa settimana a Pechino proprio per cercare di spezzare almeno il sostegno militare della Cina alla Russia. Molti covano la speranza che Xi Jinping possa essere convinto a rivedere le proprie relazioni con il regime putiniano, ma se pure qualche piccola crepa si vede, un disallineamento sembra lontano oltre che improbabile. Semmai sono più forti gli scambi di tecnologia per la repressione tra la Cina e gli altri regimi; semmai la lezione della guerra di Putin alle altre dittature è che sia necessario fare calcoli militari corretti e costruirsi un’indipendenza economica più strutturata, ma ottenere risultati geostrategici imponendo la legge del più forte è possibile.
Queste analisi però non tengono conto del potere dei popoli e di quanto possa essere contagioso anche il fatto di prendere coraggio e gettarsi contro dei regimi che usano la violenza come unica regola del mantenimento del loro sistema. Garry Kasparov ha scritto su Twitter: “Non sono soltanto i dittatori di tutto il mondo e i regimi aggressivi a guardare con attenzione l’Ucraina in cerca delle debolezze della risposta del mondo libero. Gli oppressi, i dissidenti: anche loro prendono ispirazione e cercano un sostegno simile”. E fanno loro il desiderio di rischiare tutto, in nome di una maggiore libertà, ribaltando con un fuoco in cortile alla volta, un foglio bianco alla volta, un hijab in mano invece che sulla testa alla volta, la minaccia esistenziale: rischiamo noi, ma rischiano anche i dittatori.