“Era terrorizzato a uscire di scuola”. Le ultime ore del professor Paty
Conclusa l’indagine sull’insegnante decapitato due anni fa. Finora si era pensato a un attacco senza preavviso. Ora scopriamo che provava “profonda preoccupazione” nei giorni precedenti il suo assassinio. Ma non ci fu solidarietà dai colleghi nè furono prese misure protettive
Si copriva con il cappuccio del cappotto non appena lasciava la scuola. Gli inquirenti hanno trovato anche un martello nel suo zaino. Samuel Paty sapeva di avere i giorni, forse le ore, contate, da quando aveva iniziato a ricevere minacce di morte per aver mostrato le vignette su Maometto di Charlie Hebdo durante un corso sulla libertà di espressione nella sua scuola di Conflans-Sainte-Honorine. Finora si era pensato a un attacco senza preavviso. Ora dall’indagine sulla decapitazione del professore di storia-geografia scopriamo che provava “profonda preoccupazione” nei giorni precedenti il suo assassinio il 16 ottobre 2020. Rivelato da Le Parisien, il rapporto della polizia racconta un clima terrificante prima del suo assassinio da parte di Abdoullakh Anzorov, terrorista ceceno che la Francia aveva generosamentre accolto con la famiglia. Abdoullakh Anzorov, ucciso poco dopo dalla polizia, ha rivendicato la sua azione, congratulandosi con se stesso per aver “vendicato il Profeta”. Secondo il rapporto, Samuel Paty “si era aperto ad almeno due colleghi, ai quali ha chiesto di portarlo da scuola a casa e viceversa”, due giorni prima del suo assassinio.
“Mi ha detto di non lasciarlo proprio davanti casa. Ho cercato di rassicurarlo dicendogli che c’ero per lui, non ha parlato durante il viaggio”, racconta uno dei due colleghi. Un altro insegnante rivela agli agenti della sottodirezione antiterrorismo che venerdì 16 ottobre 2020, poche ore prima del suo assassinio, Paty era cupo in volto: “Mi ha chiesto se potevo accompagnarlo ma ho dovuto dirgli di no a causa dei miei impegni, era molto teso quel giorno. Girava in tondo nella stanza del personale. Penso che non si fosse lavato quel giorno, aveva la barba quando di solito era ben rasato. Un uomo divorato da questa minaccia”. Due giorni prima dell’attentato, il professore di storia ha svolto ricerche su internet sulla definizione giuridica di minaccia all'ordine pubblico e “su se stesso e sulla controversia di cui era oggetto”.
L’avvocato dei genitori di Samuel Paty, Maître Virginie Le Roy, dice che “nonostante la denuncia presentata, nonostante l'atmosfera a scuola, non ci furono misure protettive”. Ma se due colleghi lo aiutarono, tanti lo misero all’angolo. La preside una mattina scrive al corpo insegnante: “Penso di potere dire che Paty ha avuto una settimana difficile e che è importante che possa contare su ciascuno di noi”. Invoca una risposta corale dei docenti a tutela del collega, facendo muro contro le intimidazioni. Paty riceve messaggi di sostegno dai genitori. Ma contrariamente ai desideri della preside, nessuna solidarietà del corpo insegnante. “Sento il bisogno di dire che non sostengo il nostro collega”, scrive un insegnante alla preside. “Mi rifiuto di essere complice con il mio silenzio. Questa situazione altera il legame di fiducia che cerchiamo di rinsaldare con le famiglie che hanno scelto la scuola pubblica e, visto il contesto in cui si svolge, mette in pericolo l’intera comunità”.
Dunque è Paty a mettere in pericolo tutti. Un altro insegnante lo attacca in termini anche più meschini: “Il nostro collega non solo non ha servito la causa della libertà di espressione, ma ha fornito argomenti agli islamisti e ha lavorato contro la laicità facendola sembrare intolleranza e ha commesso un atto di discriminazione. La mia etica mi proibisce di essere complice”. Complici, appunto. Mentre il Parisien pubblicava l’esclusiva, su un muro della scuola media Danielle-Casanova, a Vitry-sur-Seine (Val-de-Marne), qualcuno incideva il nome del preside e la scritta: “Ti ucciderò come Paty”. La Francia trema.