pensare in senso geopolitico
Niente moralismo con gli stati nemici
Tollerare l’intollerabile finché l’intollerabile non esce dalla sua naturale ambiguità. La Cina e il Qatar. E la Russia. Come si distingue uno stato da combattere da uno da accettare come il nostro figlio di puttana. Il nemico è tale quando s'impongono aggressività ed espansionismo
Esistono gli stati paria e gli stati. Con i primi si dovrebbe fare barriera, alzare la voce, penetrare le loro difese, lavorare per l’abbattimento dei regimi. È il caso mostruoso dell’Iran, dove la polizia morale, agli ordini di teocrati prenucleari, fa strage di donne, di adolescenti, di giovani e di cittadini in rivolta, una rivolta estesa, possente, sprezzante del pericolo, per imporre un costume conformista ispirato alla legge religiosa di stato contro elementari libertà della persona. Qui si dovrebbe essere schiettamente moralisti, umanamente furiosi, invece come vediamo si tace. Tacciono quasi tutti i governi, tace il Papa di Roma, si mobilitano in qualche caso grandi folle europee ma per lo più minoranze d’avanguardia in nome dei diritti civili.
Invece amiamo essere petulanti quando si tratti di stati, di rapporti politici e militari con regimi altrettanto sanguinari, bellicisti, che ricadono però sotto la categoria del nemico, una categoria politica che implica il trattamento dovuto, la resistenza anche armata, una buona dose di intransigenza diplomatica e sapienza storica, senza però mescolare censure moralistiche con la lotta politica aperta la più dura in posizione di autodifesa e di contrattacco. Il nemico però non è un paria, è un nemico. Il caso della Russia di Putin è ovviamente in primo piano. Ma anche la Cina è nella zona di confine tra la competizione di grande potenza e l’ostilità aperta. Occorre fare di tutto per sconfiggere l’esercito d’invasione russo, per salvare l’Ucraina al buio e al freddo, fare di tutto per evitare il compattamento nazionalistico sotto la bandiera russa con le provocazioni interdittive sulla cultura russa, musica teatro letteratura sport, e anche l’intemerata della Commissione di Bruxelles sul tribunale internazionale contro i crimini di guerra si spiega, visti gli obiettivi e i metodi apocalittici che non si vedevano dalla guerra europea del 1939-1945.
Ma il nemico è una grande potenza, ha memoria di paese imperiale, esce da una sconfitta tremenda e da una rivoluzione di regime con caratteri violenti, possiede immense risorse energetiche e una grande rete di distribuzione, ha inclinato verso forme diverse di convivenza dopo la catastrofe della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzione del Patto di Varsavia, perfino verso forme di alleanza o di partnership fino alla svolta putiniana di Monaco del 2007, e ora dispiega la guerra in Europa dopo aver tessuto alleanze, contando su una penetrazione subita a lungo dall’occidente. Certo che sono stati commessi errori, certo che ci si è affidati a intese fragili come quelle di Minsk sul Donbas e la Crimea, certo che quegli errori non bisogna ripeterli con la Cina, che è tutt’altro affare, ma che affare, però bisogna piantarla con i processi moralistici, alla Merkel, a Scholz, ai governi popolari e socialdemocratici, alle classi dirigenti che hanno perseguito negli anni la distensione e il contenimento anche attraverso il commercio, l’integrazione economica, e poi hanno rivoluzionato lo status del loro paese con la grande svolta dopo l’invasione. Chi dice che Merkel, la quale ha anche ammesso errori di valutazione e di prospettiva, doveva rinunciare al gas siberiano, anticipare tempi e modi del conflitto mettendo in ginocchio l’economia maggiore d’Europa, costruendo linee di tensione invece che di dialogo quando il nemico aperto di oggi puntava sull’ambiguità o poteva essere costretto all’ambiguità, dice un evidente nonsenso, molto popolare, risonante, ma nonsenso.
Vale anche per i regimi del Golfo e per tutti i regimi, che sono la maggioranza nel pianeta, irrispettosi dei diritti civili, violatori di norme liberali che a noi sembrano acquisizioni elementari di valore universale, e non lo sono.
Il Qatar organizza i Mondiali di calcio, punta sulla penetrazione finanziaria, sul denaro e gli scambi per realizzare i suoi propositi nazionali e regionali, i suoi scopi generali. Il luccichio delle smart city e i lussi dinastici, gli apartheid, lo stato di soggezione dei lavoratori stranieri, sono tragiche contraddizioni che vanno valutate nel filtro intellettuale della politica e del realismo, e si coagulano nell’aperta opposizione e ostilità quando si accende l’inimicizia dispiegata, quando s’impongono espansionismo e aggressività, non prima. Il generale egiziano che copre i torturatori di Giulio Regeni ha per alternativa i Fratelli musulmani, una casta shariota che allungherebbe la sua ombra sul medio oriente e sul mondo, per adesso è un broker di potere autoritario che si deve incalzare, controllare, condizionare ma alla fine accettare per tale, è quel che gli americani dicono “il nostro figlio di puttana”. Vale perfino per il principe ereditario che ha segato il corpo di un oppositore nel consolato saudita di Istanbul e lo ha portato via in una valigia. La politica è questo tollerare l’intollerabile finché l’intollerabile non esce dalla sua naturale ambiguità e non definisce chiaramente il campo del nemico.