Foto di Mark Schiefelbein, via LaPresse 

una doppia sconfitta

L'anno orribile di Russia e Cina passa da una scommessa fallita: mostrare la debolezza dell'occidente

Claudio Cerasa

Le democrazie liberali sono forti, resistenti, resilienti. Mentre, Putin e Xi Jinping hanno commesso lo stesso errore: quello della tracotanza. L'uno si immaginava che l'Ucraina sarebbe stata abbandonata, l'altro ha immaginato possibile l'autarchia scientifica 

Avevano scommesso entrambi sulle debolezze dell’occidente. Avevano scommesso entrambi sulla fragilità delle democrazie liberali. Avevano scommesso entrambi sull’efficienza delle autocrazie. E avevano scommesso entrambi, all’inizio di quest’anno, sulla nascita di un’amicizia “senza limiti” destinata inevitabilmente a imporre, in tutto il mondo, l’egemonia dei propri modelli politici, economici, scientifici e culturali. Cina e Russia avevano scommesso sull’anno in corso per dimostrare al mondo l’inferiorità strutturale delle società aperte e la superiorità assoluta delle società non aperte. Ma alla fine di quest’anno si può dire che Cina e Russia siano arrivate di fronte a una verità difficile da digerire. Quello che pensavano essere debole, ovvero l’occidente, ha dimostrato di essere forte, resistente, resiliente.

 

E quella che pensavano essere efficiente, l’autocrazia incarnata dai modelli della Cina e della Russia, ha mostrato tutta la sua vulnerabilità, la sua fragilità, la sua debolezza. Ai due elefanti dai piedi di argilla, ieri il Point ha dedicato un editoriale interessante, intitolato “l’anno maledetto di Xi Jinping e Vladimir Putin”, ricordando cosa avevano immaginato i due leader a febbraio, a cavallo dell’inizio delle Olimpiadi invernali in Cina. Putin immaginava di poter inghiottire l’Ucraina, facendo leva su quei rammolliti dell’occidente. Xi Jinping, a sua volta, sperava che l’occidente potesse uscire umiliato dal calvario ucraino, che la Nato potesse uscire fiaccata dal conflitto in Europa e che la strada verso Taiwan potesse essere spianata.

 

Oggi, invece, la situazione, per entrambi, si presenta molto diversa. L’occidente ha resistito contro Putin. L’esercito russo è prostrato. La Nato è rinvigorita. Putin è sotto assedio. E la Cina si trova in una condizione economica difficile da gestire, la crescita del pil nel 2022 sarà del 2,8 per cento, contro un +8,1 per cento del 2021, e con gli occhi del mondo puntati su Taiwan, sulle manifestazioni organizzate  contro la gestione della pandemia e con una consapevolezza: aver fallito miseramente la sua orgogliosa strategia del Covid Zero. Putin ha peccato di hybris, di tracotanza, immaginando che l’occidente, di fronte alla scelta se difendere o no l’Ucraina, si sarebbe diviso (è successo il contrario). E lo stesso peccato mortale, in fondo, lo ha commesso il regime cinese scegliendo, nella gestione della pandemia, una strada pericolosa: l’autarchia scientifica.

 

Ieri il Wall Street Journal ha ricordato che al centro del fallimento della Cina nella gestione della pandemia vi è una scelta ideologica rivendicata anche in questi giorni dal regime di Pechino: rifiutarsi di acquistare dall’occidente i vaccini con tecnologia mRna, infinitamente più efficaci contro il Covid rispetto ai vaccini locali (Sinovac e Sinopharm, secondo uno studio del British Medical Journal, proteggono solo in sei casi su dieci contro la morte e solo in cinque casi su dieci dal ricovero in ospedale). Ed è evidente che, in presenza di un vaccino farlocco, la forma più sicura per combattere il Covid non può che coincidere ancora con il lockdown (curiosamente, la propaganda contro i vaccini mRna, in questi mesi, è arrivata dal regime cinese a da tutti i No vax occidentali che hanno chiesto allo stato più libertà, free vax, per non finire come la Cina).

 

In entrambi i casi, la Russia e la Cina, la cui amicizia senza limiti sembra avere oggi molti limiti, hanno dunque immaginato di poter utilizzare il potere del nazionalismo come una leva utile a far esplodere le contraddizioni dell’occidente. Ma la buona notizia è che un anno dopo, sia sulla pandemia sia sulla guerra, sono le società aperte ad aver mostrato quello che né Putin né Xi Jinping potranno mai ammettere: le autocrazie, anche quelle capitalistiche, non sono un modello più efficace delle democrazie liberali e quando commettono errori grossi hanno bisogno della manina dell’occidente per tirarsi fuori dai guai. Meno propaganda, più occidente. La protezione del mondo, anche in futuro, non può che passare da qui. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.