Da Putin a Xi
Ora sarà sempre più chiaro quanto poco è conveniente schierarsi con i dittatori
I prossimi anni “porteranno a un riassestamento che renderà sempre più dubbia la credibilità di Russia e Cina quali potenze globali. Scegliere di allearsi con loro sarà una scelta meno conveniente”, dice Gilford John Ikenberry, esperto di relazioni internazione e docente presso l’università di Princeton
Il secolo americano? Non è ancora finito. Anzi, l’ordine scaturito dalla Seconda guerra mondiale è ben più solido di quanto appaia ai suoi detrattori. E probabilmente gli Stati Uniti guideranno anche il mondo nella fase successiva all’invasione dell’Ucraina. Ne è convinto Gilford John Ikenberry, docente presso l’università di Princeton e uno dei principali esponenti della scuola idealista di relazioni internazionali, soprattutto dopo le ultime mosse di Russia e Cina, che hanno mostrato di non essere attrattive. Il politologo americano spiega al Foglio: “Facciamo un esempio pratico: se Donald Trump fosse rimasto al potere per più di vent’anni, avrebbe fatto gravi danni, ma un sistema democratico ha saputo meglio riassorbire questa anomalia. In Russia, questo non è stato possibile, con le conseguenze che sappiamo”.
Proprio l’invasione russa dell’Ucraina secondo Ikenberry ha consolidato il potere di questo ordine che ha definito “post imperiale” nel suo libro intitolato “A World Safer for Democracy” e ha aggiunto: “Nell’ordine liberal-democratico gli stati sono più portati a cooperare e a congiungere gli sforzi, anche perché gli Stati Uniti non hanno solo la modalità imperiale classica, ma sanno indurre le democrazie occidentali a cooperare per il bene comune”. Viene da chiedersi, allora, come mai certe democrazie come la Germania e in una certa misura l’Italia abbiano cercato in passato di siglare partnership con paesi non democratici contro l’interesse americano. “Ci troviamo in un momento particolare: da venticinque anni a questa parte non era mai successo che la gran parte delle democrazie, che comprende non solo l’Europa, ma anche la Corea del sud, il Giappone e l’Australia e la Nuova Zelanda, trovasse conveniente stare unite per ritrovare compattezza contro la svolta neoimperiale della Russia”, dice Ikenberry, “anziché andare ognuno per proprio conto e cercare accordi con alcune autocrazie”. Persino il premier ungherese Viktor Orbán, “che pur si considera in un certo modo un amico di Putin, in fin dei conti non romperà con la Nato o l’Unione europea”.
Anche se nel prossimo periodo invernale eventuali carenze di fonti di energia potrebbero incrinare la compattezza occidentale, Ikenberry ritiene che sia “largamente condivisa” la visione secondo cui se cade l’Ucraina Putin non si fermerà: “Si è compreso che la caduta dell’Ucraina sia un limite da non oltrepassare. Scegliere l’appeasement nei suoi confronti in questo momento porterebbe a nuovi problemi”. Questo ha fatto sì che anche nel polarizzato Congresso americano ci fosse unità sull’aiuto all’Ucraina. Anche con la nuova maggioranza, spiega Ikenberry “c’è un nutrito gruppo di repubblicani che di sicuro garantirà i voti necessari all’Amministrazione Biden per proseguire nella sua linea di invio di materiale militare a Kyiv”. Quindi il presidente russo “potrà anche rimanere al potere ancora un po’, ma non recupererà mai il terreno e il prestigio perduti”.
Oltre alla Russia di Putin, anche la Cina di Xi Jinping è in difficoltà, con le rivolte contro i lockdown e la rigida politica di “Zero Covid”. Per Ikenberry la situazione è diversa, ma con delle similitudini: “La Cina è intrinsecamente un paese molto più forte, con un leader più stabile e più possibilità di crescita e una migliore diplomazia con cui allargare le proprie sfere d’influenza. Ciò detto, non è più attrattiva come qualche anno fa: sotto Xi, le riforme hanno fatto passi indietro. In questi giorni le proteste mostrano i limiti di questo regime che si è mostrato più fragile di quanto si pensasse. Quindi possiamo affermare che la Cina è meno potente anche solo di un anno fa”.
Quindi, in conclusione, anche se molti paesi come Brasile e India hanno mostrato una certa riluttanza a unirsi alle altre democrazie, preferendo non scegliere con chiarezza, i prossimi anni “porteranno a un riassestamento che renderà sempre più dubbia la credibilità di Russia e Cina quali potenze autocratiche globali. Quindi scegliere di allearsi con loro sarà una scelta meno conveniente”, conclude Ikenberry, che aggiunge quella che in fin dei conti è sempre stato un difetto ineliminabile delle autocrazie: “Dai paesi autoritari gli intellettuali e gli scienziati cercano sempre di fuggire, mentre gli Stati Uniti mantengono lo status di superpotenza intellettuale: basti vedere la lista dei premi Nobel degli ultimi vent’anni per capire quanti studiosi stranieri hanno scelto di svolgere ricerca presso un’istituzione americana”.