Attacchi profondi

Dal ponte in Crimea Putin guarda fino a dove Kyiv può sconfinare

Micol Flammini

Sono stati colpiti due aeroporti militari in Russia e non sono vicini al confine con l’Ucraina

Roma. Circa cento missili sono stati lanciati contro l’Ucraina, costretta a correre nei rifugi, come accade con più frequenza il lunedì. La furia dell’attacco di ieri però era fomentata anche da due esplosioni importanti avvenute all’interno del territorio russo, qualche ora prima che il presidente  Vladimir Putin si mettesse alla guida di una Volkswagen per dimostrare  che la ristrutturazione del ponte che unisce la Russia alla Crimea procede bene e in modo spedito e  dopo l’attacco subìto in ottobre sta riaprendo al traffico. Era in compagnia del vicepremier Marat Khusnullin. Arrivati sopra alla struttura, Putin l’ha definita un pezzo d’arte, Khusnullin un capolavoro di livello mondiale. 

 

Faceva freddo e tirava parecchio vento, il presidente aveva il cappuccio in testa, mentre l’ultima volta che era stato sul ponte era una giornata soleggiata del maggio del 2018, e si era messo alla guida di un camion per inaugurare la struttura che all’epoca sembrava segnare soltanto un ulteriore sopruso contro l’Ucraina, ma sarebbe servito  a creare anche una nuova arteria per  rifornire l’esercito russo durante l’invasione. Il presidente russo sembrava di buon umore e all’apparenza, neppure la notizia dei due bombardamenti avvenuti in territorio russo durante la notte tra domenica e lunedì erano riusciti a turbarlo. 

 

A centinaia di chilometri dal confine con l’Ucraina sono stati colpiti due aeroporti. Uno vicino alla città di Rjazan, a sud est di Mosca, l’altro nella regione di Saratov, sul fiume Volga. Nel primo, che si trova circa a cinquecento chilometri dalla frontiera con l’Ucraina è stato attaccato un deposito di carburante e l’esplosione ha causato la morte di tre persone. Il secondo è la base  militare di  Engels e si trova a circa 700 chilometri dall’aeroporto ucraino più vicino e sono stati colpiti due Tu-95. Le prime informazioni parlano di un attacco compiuto con droni, il portavoce del presidente Dmitri Peskov ha detto di non conoscere le cause delle esplosioni. Da parte dell’Ucraina non sono arrivate conferme, il consigliere del presidente Zelensky, Mykhaylo Podolyak ha invece fornito una smentita ironica, che riprendeva l’immagine, da lui usata più volte, degli attacchi del karma: “Se qualcosa viene lanciato nello spazio aereo di un altro paese, prima o poi oggetti volanti sconosciuti torneranno al punto di partenza”. Non si tratterebbe del primo presunto sconfinamento da parte degli ucraini, ma mai erano arrivati tanto all’interno del territorio russo. 

 

L’attacco contro l’aeroporto di Engels sarebbe il punto di massima profondità raggiunto dall’Ucraina, che la scorsa settimana aveva annunciato i test di un drone con una portata di circa mille chilometri e alcuni analisti hanno fatto notare la coincidenza. Sarà difficile che venga svelata l’arma con cui è stato compiuto l’attacco, si sa invece con certezza cosa rappresenta l’aeroporto di Engels. E’ la base di due reggimenti delle Forze aeree, il 121esimo e il 184esimo, ospita circa una ventina di Tupolev 95 e una quindicina di Tupolev 160 e la scorsa settimana aveva registrato una straordinaria attività. Lo Spiegel aveva pubblicato immagini satellitari che mostravano i movimenti e la concentrazione dei mezzi che lasciavano presagire una nuova ondata di attacchi.  

 

Senza ammettere l’entità del danno subìto, la Russia ha risposto con un intenso bombardamento contro quattordici oblast e i frammenti di un razzo sono finiti anche in Moldavia. Gli alleati degli Ucraini hanno più volte chiesto di evitare sconfinamenti – secondo il Wall Street Journal gli americani avrebbero anche mandato lanciarazzi Himars segretamente modificati per evitare che colpissero la Russia – ma attaccare le basi russe serve anche a proteggersi da futuri attacchi. Putin con orgoglio ieri ha dato un ulteriore segnale che non ha intenzione di far finire la guerra: ha detto che Mosca ha a disposizione ventuno milioni di volontari e ha chiesto di non chiamarli con la parola “volonter”, che è un prestito dalle lingue straniere, ma di riferirsi loro con il termine “dobrovoletz”, ben più russo.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)