Papelli da moderatori
C'è un'alleanza libertar-trumpiana nella saga dei “Twitter files”
La pubblicazione dei messaggi interni tra dipendenti dell'azienda sul caso dell'articolo del New York Post su Hunter Biden è stata affidata da Elon Musk a Matt Taibbi, ex pupillo del giornalismo americano, diventato negli anni uno dei principali critici dei media mainstream ossessionati dalla campagna antitrumpiana
Nel corso del fine settimana, il giornalista e scrittore Matt Taibbi ha fatto molti tweet per parlare di una serie di documenti e informazioni relativi a Twitter e ai suoi dipendenti. O meglio: alla gestione precedente del social network, che dal 27 ottobre scorso è di proprietà di Elon Musk, che ha consegnato personalmente i materiali a Taibbi.
Secondo Musk, al centro di questi “Twitter Files” ci sarebbe uno scandalo politico che risale al 2020, quando il New York Post pubblicò una serie di accuse nei confronti di Hunter Biden, il figlio del presidente americano. A causa dei molti dubbi sulla solidità dell’articolo, Twitter decise di limitarne la diffusione, scatenando la paranoia repubblicana. Oggi Taibbi, con l’autorizzazione di Musk, ha pubblicato una serie di messaggi interni risalenti a quei giorni, dai quali non sembra delinearsi un complotto politico quanto la discussione interna (e confusa) di un’azienda alle prese con ciò che Musk tanto detesta: la moderazione dei contenuti.
Rimane da capire chi sia Taibbi e perché Musk gli abbia affidato la gestione della storia. Classe 1970, Matt Taibbi è stato un pupillo del giornalismo statunitense: nel corso degli anni si è occupato di Unione Sovietica e di crisi finanziaria, raccontando la saga di Goldman Sachs (da lui soprannominata “calamaro vampiro”) e vincendo il prestigioso National Magazine Award nel 2008 per i suoi articoli su Rolling Stone. A causa del suo stile, è stato più volte definito l’erede del padre del giornalismo “gonzo”, Hunter S. Thompson. A un certo punto, attorno al 2020, il suo lavoro è profondamente cambiato. In un articolo del New York Magazine intitolato “Cos’è successo a Matt Taibbi?”, il giornalista ha giurato di essere sempre lo stesso, ma di dover reagire a un mondo sempre più isterico e illiberale. Dismesse le collaborazioni con i giganti del giornalismo liberal, Taibbi ha aperto una newsletter a pagamento sul servizio Substack: 50 dollari all’anno, “decine di migliaia di abbonati a pagamento”, e una lunga serie di post contro i “mainstream media” nei quali attacca la loro ossessione antitrumpiana o pro vaccini spiegando che “per i direttori di oggi è più importante avere la posizione giusta che essere corretti”.
Tanto zelo nell’attaccare il New York Times o l’Npr lo ha avvicinato a Fox News e al suo anchorman Tucker Carlson, una delle voci più incendiarie ed estreme del canale. Secondo Taibbi, infatti, Fox News non rappresenterebbe una minaccia, visto che “l’élite finanziaria-politica e tutto il suo potere sta dall’altra parte”. Di conseguenza “penso siano loro quelli di cui preoccuparsi”.
La parabola di Taibbi ricorda da vicino quella di un altro nome grosso del giornalismo di sinistra, passato in poco tempi dal caso Snowden a Fox News: Glenn Greenwald. Fu lui a essere contattato dal whistleblower della National Security Agency Edward Snowden, a cui consegnò i file su cui si fondò l’inchiesta. Greenwald da allora ha avuto una carriera variegata: nel 2014 ha co-fondato il sito The Intercept (a cui ha lavorato anche Taibbi), per lasciarlo nel 2020 gridando alla censura dei suoi stessi redattori e rifugiandosi su Substack, come il suo ex collega. Qui punta su temi cari al trumpismo e a una certa destra libertaria, in una deriva che l’ha portato a essere una presenza fissa su Fox News, dove se la prende con il Big Tech ma anche con i classici bersagli della destra americana, mescolando retorica antisistema ad alcuni talking point dei repubblicani.
Così come Musk usa la libertà d’espressione come arma per le battaglie culturali, Taibbi e Greenwald fanno lo stesso con le loro critiche – anche legittime – dei mainstream media, ritenuti corrotti e bugiardi a priori. Nella pubblicazione dei Twitter Files, però, Taibbi ha confessato di aver accettato “certe condizioni” imposte da Musk. Quali? Non si sa.
I conservatori inglesi