la royal family
Con la serie su Netflix, Harry e Meghan assestano un altro colpo a Buckingham Palace
I Sussex hanno aggiustato il tiro e si dimostrano in grado di parlare a un pubblico giovane e globale, che non ha nessuna relazione d’affetto nei confronti della corona britannica e che istintivamente si immedesima in Meghan. Bel dilemma per Carlo III: rispondere o no alla valanga di accuse che riceverà?
Bel dilemma, per Carlo III: andare o non andare in guerra, rispondere o non rispondere alla valanga di accuse che, a mezzo Netflix, intratterrà gli spettatori di tutto il mondo? Perché tutta questa distaccata superiorità sarà pure molto royal, ma i Sussex stanno assestando colpi vigorosi a Buckingham Palace, soprattutto davanti a un pubblico internazionale, e la sobrietà della risposta data finora – “recollections may vary”, “le ricostruzioni possono variare” – rischia di non bastare quando in ballo ci sono temi importanti e di tendenza come il razzismo, la salute mentale, il femminismo. E tra una The Crown e un’intervista di Meghan forse la monarchia attuale, senza il rispetto reverenziale suscitato dall’icona Elisabetta, riposa su un immaginario troppo fragile per sostenere così tante rielaborazioni senza passare al contrattacco. L’accoglienza tiepida ricevuta a Boston da William e Kate (favolosa in uno squillante verde-Grinch) più che un campanello d’allarme suona come un rintocco del Big Ben: la mistica reale è in pericolo, bisogna fare qualcosa.
Rispetto al confessionale kitsch da Oprah Winfrey, i Sussex hanno aggiustato il tiro: non solo l’accusa è più chiara – razzismo – ma almeno stando al trailer sembra essere tutto avvolto da una patina di intimismo, di normalità in grado di parlare a un pubblico giovane e globale, che non ha nessuna relazione d’affetto nei confronti della corona britannica e che istintivamente si immedesima in Meghan, afrodiscendente e contemporanea, e non rimane troppo colpito dallo stoicismo bon ton di una Kate, tutta dovere e unghie senza smalto. Inoltre Netflix non vede l’ora di passare all’incasso dopo che l’ipotesi di opere più creative da parte della coppia, firmataria di un contratto a molti zeri, sembra tramontata. Un tempo erano i maggiordomi o le governanti a dover essere guardati a vista per evitare che scrivessero mémoirs pettegoli, mentre ora Carlo deve vedersela con il proprio figlio e l’intraprendente moglie, che hanno avuto un accesso privilegiato a tutto quello che il mondo cerca di intravedere attraverso le narrazioni dei tabloids. E promettono di raccontarlo seduti sul divano con gli occhi rossi di lacrime, come una coppia qualunque alle prese coi perfidi parenti.
Come si evince dal trailer, si parlerà di Kate, trascinata nel novero delle povere mogli della famiglia reale, donne che avrebbero sofferto patimenti atroci manco avessero sposato tutte quante Enrico VIII. Kate, che prima di essere perfetta si ubriacava (giudiziosamente) con vestiti sguaiati come qualunque fanciulla del regno e che avrebbe fatto piangere Meghan prima del suo matrimonio in uno degli aneddoti sui quali si è fantasticato di più negli ultimi anni. Kate, che come tutte è stata vittima dei tabloids e che viene per questo trascinata in una imbarazzante sorellanza non richiesta, come pure Diana, la santa patrona di ogni vittimismo, eterna Rebecca di qualunque seconda moglie. “Il dolore e la sofferenza delle donne che si sposano con membri di questa istituzione, questa frenesia da alimentare. Nessuno sa la verità. Noi sappiamo la verità”, dice Harry mentre nella retina degli spettatori è già stata impressa l’immagine della famigliola felice che passeggia sotto l’obiettivo rapace di un fotografo. Peccato che fosse accreditatissimo e si trovasse lì per raccontare l’incontro dei Sussex con Desmond Tutu durante il viaggio in Sudafrica.
La guerra al “razzismo, all’oppressione e all’ingiustizia” è appena cominciata e Meghan&Harry lo hanno detto durante una serata di gala a New York, tipico palcoscenico degli oppressi, prima di ricevere il premio per aver combattuto il razzismo nella famiglia reale dalla Robert F Kennedy Human Rights Foundation, che in passato ha premiato Hillary e Obama. Il Regno Unito contemporaneo non genera simpatia, la cool Britannia è un pallido ricordo e le storie delle vecchie aristocratiche che riservano accoglienze glaciali a chiunque sia diverso da loro non fanno bene a nessuno. C’è un problema di immagine post-coloniale da gestire, Meghan era un simbolo e tutti speravano che potesse rappresentare una svolta, strano che da quando ha iniziato la sua ribellione nessuno a palazzo abbia pensato a mandare avanti nuovi simboli, più potenti, di diversità e multiculturalismo, lasciando che fosse lei a dettare l’agenda nella lotta al razzismo. Ora proprio i membri dello staff che hanno avuto problemi con Meghan, quelle eminenze grigie di palazzo a cui ha riservato molte critiche, hanno suggerito di poter dire la loro. “L’unica maniera per chiudere una volta per tutte è dare a noi la possibilità di parlare e fare sì che il palazzo respinga le loro bugie”, ha detto una fonte al Times. Se il silenzio era la forma di rispetto per la regina, qui tocca cambiare strategia.
Resta da capire come si possa atteggiarsi a vittime, a oppressi della terra, da una certa posizione. Forse per questo, e solo per questo, si può immaginare di vedere il documentario di Harry e Meghan, atto di denuncia dai piani alti con il chiaro intento di cercare di restarci, a quei piani alti. Perché servono soldi, visibilità e cause giuste da abbracciare per mantenersi all’altezza di un fratello che un giorno sarà re e per continuare a sfruttare almeno un po’ l’aura royal. Facendo ben attenzione: se l’aura evapora non rimane più niente per nessuno, solo l’isola dei famosi e la pubblicità dei sottaceti.
Dalle piazze ai palazzi