Foto Paolo Aguilar per Epa, via Ansa

L'autogolpe fallito di Pedro Castillo in Perù

Maurizio Stefanini

Il presidente ha provato a sciogliere il Congresso e convocare elezioni per una assemblea costituente per evitare di essere destituito. Il Congresso però ha trovato la maggioranza per destituirlo. Dina Boluarte è la nuova capo di stato

Per la terza volta il Congresso del Perù doveva provare a destituire un presidente cui aveva già vietato di recarsi all’estero perché “non richiedesse asilo”; il presidente ha cercato di prenderlo in contropiede prima del voto sciogliendo il Congresso e convocando elezioni per una assemblea costituente; il Congresso a quel punto ha trovato la maggioranza per destituirlo; le forze armate hanno deciso di obbedire al Congresso e non al presidente; e il presidente è stato portato in galera su un elicottero.

 

Così, in estrema sintesi, quel che è accaduto a Pedro Castillo. Al suo posto è ora diventata capo dello stato la vicepresidente Dina Boluarte, che era stata eletta con lui, ma che ne ha preso subito le distanze. “Respingo la decisione di Pedro Castillo di rompere l'ordine costituzionale chiudendo il Congresso. È un colpo di stato che aggrava la crisi politica e istituzionale che la società peruviana dovrà superare con il rigoroso rispetto della legge”. È la prima donna a diventare capo di stato in Perù.

 

Tre ore prima che alle 21 italiane il Congresso votasse sulla ennesima richiesta di impeachment, Castillo aveva ordinato l'istituzione di un “governo di eccezione”, aveva indetto le elezioni per un Congresso costituente che elaborasse una nuova Costituzione “entro 9 mesi”, aveva decretato il coprifuoco, aveva disposto la riorganizzazione della magistratura e del resto degli organi di giustizia. “In risposta alla richiesta dei cittadini in tutto il paese, abbiamo preso la decisione di istituire un governo di emergenza volto a stabilire lo stato di diritto e la democrazia”, aveva detto in tv. Ma subito la vicepresidente, parte dei suoi ministri, le forze armate e la stragrande maggioranza dei membri del Congresso si sono schierati contro di lui.

    

Mentre i ministri dell'Economia, della Giustizia, del Lavoro e delle Relazioni estere davano le dimissioni assieme ai rappresentanti presso Onu e Osa, con un voto d’urgenza i deputati hanno destituito il presidente per “incapacità morale permanente”, con 101 voti su 130. Anche Juntos por el Perú, coalizione di sinistra che finora aveva sempre sostenuto Castillo, ha denunciato il “colpo di stato”. A quel punto Castillo si è presentato davanti alla prefettura di polizia di Lima, dove è stato arrestato. “Il Pubblico Ministero questo pomeriggio ha disposto l'arresto di Pedro Castillo Terrones per il presunto reato di ribellione, disciplinato dall'articolo 346 del codice penale, per violazione dell'ordine costituzionale”, ha comunicato la Procura. Sono seguiti alcuni scontri tra i sostenitori di Castillo e la polizia nel centro di Lima.

  

“Condanno fermamente questo autogolpe”, aveva scritto su Twitter il ministro degli Esteri César Landa, esortando la comunità internazionale a contribuire a ripristinare il funzionamento democratico nel paese. “Respingo con forza ogni violazione dell'ordine costituzionale, denuncio la normalizzazione della corruzione”, aveva detto Il Procuratore della Nazione Patricia Benavides. “Qualsiasi atto contrario all'ordine costituzionale stabilito costituisce una violazione della Costituzione e genera inosservanza da parte delle Forze Armate e della Polizia Nazionale”, avevano infine chiarito Forze Armate e Polizia, con un comunicato congiunto.

   

“Gli Stati Uniti respingono categoricamente qualsiasi atto extracostituzionale del presidente Castillo per impedire al Congresso di adempiere al suo mandato”, aveva subito detto l’ambasciatrice degli Stati Uniti  Lisa Kenna. Il ministero degli Esteri spagnolo in un comunicato aveva condannato “fermamente” la “rottura dell'ordine costituzionale in Perù”. Il governo argentino aveva espresso “profonda preoccupazione per la crisi politica che sta attraversando la sorella Repubblica del Perù”. Il Messico ha chiesto “il rispetto della democrazia e dei diritti umani”, annunciando un rinvio del vertice dell'Alleanza del Pacifico previsto per il 14 dicembre a Lima. Un incontro che avrebbe dovuto tenersi tra il 24 e il 26 novembre a Città del Messico, ma che era stato appunto sospeso dopo che il Congresso peruviano aveva vietato a Castillo di recarsi per partecipare.

   

Il presidente messicano Andrés Manuel Lópèez Obrador è stato l’unico che ha provato a difendere Castillo. “Riteniamo deplorevole che per gli interessi delle élite economiche e politiche, dall'inizio della presidenza legittima di Pedro Castillo, sia stata mantenuta un'atmosfera di confronto e ostilità contro di lui, fino a portarlo a prendere decisioni che sono servite ai suoi avversari per consumare la sua destituzione con il precetto sui generis dell''incapacità morale”; ha twittato. . “Abbiamo una politica favorevole all'asilo. Se lo chiede, non dovremmo opporci a lui, ma non lo ha fatto”, ha dichiarato su Castillo il suo ministro degli Esteri Marcelo Ebrard.

  

Presidente dal 28 luglio del 2021, Castillo ha dovuto affrontare accuse di corruzione continue, è stato costretto a cambiare cinque primi ministri e 80 ministri, è stato cacciato dal suo stesso partito. “Abbiamo trascorso più di 16 mesi in una continua e gratuita campagna di attacco contro l'istituzione presidenziale, una situazione mai vista prima nella storia peruviana. L'unica agenda del Congresso dal 29 luglio 2021, in cui ho prestato giuramento come Presidente del Repubblica, è stato ed è il posto presidenziale vacante”, ha denunciato nel suo discorso in tv. Sicuramente vero che c’è stata ostilità, in un Congresso dove il presidente era in minoranza. Ma questa è ormai quasi una regola nei sistemi presidenziali della regione, Stati Uniti compresi.

  

Non è vero che non ci fossero precedenti, se si pensa che tutti i presidenti eletti dal popolo in Perù dal 1986 in poi sono finiti in galera – salvo Alan García, che lo ha evitato col suicidarsi mentre venivano ad arrestarlo. E tra eletti e ad interim sono sei i presidenti che si sono succeduti negli ultimi quattro anni. Nel marzo del 2018 si era dimesso Pedro Pablo Kuczynski, che era stato eletto nelle elezioni del 2016, prima che il Congresso procedesse al voto per destituirlo. Lo ha sostituito il vicepresidente Martín Vizcarra, che è stato rimosso dall'incarico dal Parlamento nel 2020, e stato sostituito dal membro del Congresso Manuel Merino, che si è dimesso cinque giorni dopo aver assunto la presidenza. Al suo posto, il Congresso ha insediato Francisco Sagasti, che ha governato il paese fino all'elezione di Castillo.

  

Diverse sono le accuse di corruzione nei confronti di Castillo che coinvolgono membri della sua famiglia, ma altre lo investono direttamente. Lo scorso ottobre la Procura lo ha accusato di aver guidato “un'organizzazione criminale” per arricchirsi con appalti statali e ostacolare le indagini.

  

“Questo governo è venuto per governare con il popolo e per costruire dal basso. È la prima volta che il nostro paese sarà governato da un contadino. Sono anch'io figlio di questo paese fondato sul sudore dei miei avi”, era il discorso con cui Castillo si era insediato, indossando il cappello da cow-boy per cui è diventato famoso in tutto il mondo. Lo aveva fatto dopo settimane di attesa per essere proclamato vincitore delle elezioni del 6 giugno di quell'anno, e sottolineando il dato senza precedenti di essere un politico fuori dalle élite: un insegnante rurale e con un discorso anti-establishment, che aveva però promesso di superare la profonda frattura e polarizzazione nella contesa che lo aveva contrapposto a Keiko Fujimori. E in molti nel mondo avevano tifato per lui proprio per questa immagine, e come uomo di sinistra che bloccava una destra autoritaria.

    

Il problema è però che l’agronomo di origine giapponese Alberto Fujimori, padre di Keiko, era stato anche lui un politico fuori dall’establishment, votato dalla sinistra per bloccare il “destro” Mario Vargas Llosa, e che poi una volta presidente aveva però svoltato a destra, ed aveva fatto il tipo di autogolpe che a Castillo è fallito. Un altro problema è che da Maduro a Daniel Ortega e al regime cubano passando per la Bolivia o il Messico in America Latina anche la sinistra è spesso attraversata da pulsioni altrettanto autoritarie di quelle di destri come Trump o Bolsonaro, e spesso anche peggio. Un terzo problema è che il Perù è un incredibile caso di paese che riesce ad avere alti tassi di crescita economica con una politica assolutamente instabile, e dove candidarsi alla Presidenza con possibilità di vincere è ormai diventato una manifestazione di autolesionismo.  

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