Foto di Office of the Iranian Supreme Leader, via AP, via LaPresse 

una storia geopolitica

Il piano B di Teheran se crolla il regime: la fuga in Venezuela

Mariano Giustino

La retorica antiamericana ha permesso di fortificare il rapporto tra i due paesi. Ora la rivoluzione non si ferma. Così le autorità iraniane hanno avviato i negoziati con Caracas per proteggere i capi pasdaran e le loro famiglie

Ankara. La Repubblica islamica in Iran scricchiola sotto la forza impetuosa di un moto rivoluzionario di manifestanti che da ottantatré giorni sta mettendo sotto scacco il regime. Le proteste pacifiche non si fermano nonostante l’impiego della forza bruta da parte del regime e corrono voci sempre più insistenti sui media internazionali secondo cui le autorità iraniane avrebbero predisposto un piano B nel caso in cui vi dovesse essere una impennata inarrestabile e decisiva dell’insurrezione popolare. Un piano che consisterebbe in una fuga verso il Venezuela, paese disposto a fornire loro rifugio sicuro dopo un eventuale crollo definitivo. Teheran è impegnata in un massiccio investimento a Caracas che oscilla tra i 5 e i 7 miliardi di dollari. L’asse Teheran-Caracas si è cementato con la retorica antiamericana e con il ruolo della diaspora sciita in America latina che ha assunto un peso economico notevole. Fonti diplomatiche occidentali confermano il fatto che il governo venezuelano avrebbe avviato negoziati con la Repubblica islamica riguardanti la protezione dei capi dei pasdaran e delle loro famiglie. 

 

Le strette relazioni tra Caracas e Teheran non sono una novità. Già con l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, quando a Caracas era al potere Chavez, i rapporti con il Venezuela erano diventati molto profondi in termini economico-commerciale. Da circa 10-12 anni sappiamo che i pasdaran stanno comprando intere aree di terreno nel Venezuela. Queste aree sono gestite da Hezbollah e dai pasdaran. 
Mentre le sanzioni occidentali soffocavano sempre più l’economia iraniana la politica estera di Teheran si muoveva lungo due assi principali: l’attività politico-militare svolta nella regione del medio oriente, e la Look to the east policy, la politica dello sguardo a est, rappresentata dalla sua appartenenza all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco). Con questa politica avviata da Ahmadinejad, l’Iran ha puntato a rafforzare le relazioni con Russia e Cina, abbandonando la sua politica di alleanze, rotta con lo slogan del 1979 “né l’Oriente né l’Occidente”. Non sono soltanto petrolio, nucleare e cooperazione militare a cementare l’allenza iraniana-venezuelana: tra i due paesi  ci sono anche similitudini istituzionali, ideologiche e sociali basate sulla retorica antiamericana. 

 

Iran e Venezuela, rispettivamente terzo e quarto esportatore di petrolio, sono tra i cinque soci fondatori dell’Opec, assieme ad Arabia Saudita, Iraq e Kuwait. Inoltre la presenza di Hezbollah in America latina ha radici lontane e risale al 1980, quando l’organizzazione iniziò a spedire agenti nella regione sudamericana per raccolte fondi, riciclaggio, reclutamento, addestramento e altre attività collegate al terrorismo, quali traffico di droga e di armi. Formalmente, l’organizzazione iniziò la sua vera attività nel 1999 come progetto della comunità Wayuu devota alla micro agricoltura, in una zona a nord-ovest di Maracaibo, in Venezuela. Questa tribù Wayuu subì un forte processo di conversione all’Islam sciita e divenne parte di Hezbollah Venezuela. Per questi gruppi la lotta dell’Islam rappresentava una lotta rivoluzionaria per l’uguaglianza e la liberazione degli oppressi. Proprio da questo pensiero nacque il gruppo islamista in Venezuela che combinava insieme i diritti delle popolazioni indigene e la liberazione nazionale. Negli ultimi vent’anni, nella turistica isola di Margarita, nel mar dei Caraibi, divenne famosa per essere il principale paradiso fiscale oltre che centro di formazione e addestramento di Hezbollah nel territorio. 

 

Intanto è sempre più evidente l’esistenza di dissidi all’interno dell’Amministrazione iraniana. La Guida suprema, Ali Khamenei, mostra molta irritazione nei confronti del presidente Raisi perché non sarebbe stato capace di reprimere la rivoluzione. Il capo dello stato sembra avere una posizione più morbida e disponibile ad alcune riforme rispetto alla rigidità fin qui mostrata da Khamenei. Vi è un forte scricchiolio non solo tra i guardiani della rivoluzione, ma anche all’interno dell’apparato del clero sciita. La sorella di Khamenei, Badri Hosseini Khamenei, da sempre fortemente critica verso la famiglia e in particolare verso il fratello, ha dichiarato in una lettera aperta che “spera di vedere la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia che governa l’Iran” e ha paragonato Khamenei a un feroce dittatore, Hitler.

Di più su questi argomenti: