il commento
Perché non riusciamo a vedere che la repressione in Iran è cancellazione culturale
Nella repubblica islamica è in atto un’opposizione tra assoluti che non riusciamo più a capire, accecati come siamo dalla nostra nuova cultura antioccidentale
La “inimicizia contro Dio” o “lotta contro Dio” ovvero l’accusa che ha portato alla morte per impiccagione di un manifestante di 23 anni in Iran è espressione a un tempo maestosa e sinistra. Indica qualcosa che ci ostiniamo a non capire: lo scontro tra assoluti. In Ucraina c’è un coraggio per la vita contro l’istinto di morte di un’ideologia del potere neoimperiale. E salvo le solite eccezioni abbiamo saputo scegliere perché non avevamo alternative al sostegno dei combattenti nella più feroce e pericolosa guerra europea dalla fine del conflitto mondiale. Con l’Iran ci permettiamo il lusso della disattenzione, parteggiamo con il cuore ma teniamo le mani in tasca.
Eppure in quelle piazze, in quei bazar, in quegli androni delle bastonature, in quelle carceri delle torture e delle condanne a morte la repressione accanita, bestiale, di masse in rivolta per l’habeas corpus, letteralmente e metaforicamente, è come l’acqua contro il fuoco, Dio è ridotto alla furia di un elemento, donne ragazzi bambini diventano le sue vittime sacrificali, il suo nome si scatena con furia poliziesca e fanatismo sacerdotale contro il senso profondo di quanto il mondo libero intende per civilizzazione. O quanto intendeva per civilizzazione prima della arcigna svolta culturale che ha condotto alla guerra relativista contro criteri di vita, di relazione, di società e autonomia personale considerati da un certo punto in poi come storia alla quale non si appartiene più, come memoria da cancellare in nome di quella che lo storicista Erich Auerbach richiamava hegelianamente come la “cattiva infinità”, questo tendere indefinitamente al vero senza più saper pensare il proprio tempo. Se l’occidente nostro è divenuto colonizzazione, corruzione, conquista e guerra alle identità che non si conformano, un pasticcio di disvalori degno della cancellazione culturale, quello che si invoca a Teheran, per cui si è disposti a morire e si muore è il nostro vecchio sogno che abbiamo tramutato ideologicamente in incubo. E’ semplice: vogliono essere liberi come eravamo noi prima del rinnegamento che ora ci oscura la vista e ci rende ciechi, muti, inani, di fronte a una delle grandi tragedie del secolo.
La disattenzione verso la tentata controrivoluzione antikhomeinista, verso l’attacco di autodifesa contro i mullah, che si fanno scudo blasfemi di Dio dichiarandosene amici per titolarità unica e rituale, mettendo fuori legge e bastonando a morte i costumi di generazioni che vogliono vestirsi acconciarsi e baciarsi e vivere con un relativo grado di indipendenza personale dal credo di stato dei clericali islamisti, ha queste radici profonde. Il processo per inimicizia contro Dio non ha niente a che vedere con la geopolitica, con la Guerra fredda, con la sua provvisoria conclusione e reviviscenza nei confini europei, è il frutto di una opposizione tra assoluti mentali e morali che non riusciamo più a comprendere sul serio, fino in fondo. La guerra convenzionale alle porte e il rischio nucleare e la turbolenza energetica e inflazionistica sono i nostri problemi, quelli che, salva la renitenza degli stolti e dei bari, riusciamo a percepire. Alla disperata invocazione d’aiuto dei controrivoluzionari iraniani non ci arriviamo ancora, non la sentiamo, non rispondiamo, siamo zavorrati dalle nostre colpe vere e immaginarie, pensiamo di punirci e di espiare quando a essere puniti e a espiare sono gli impiccati in lotta contro Dio, donne ragazzi bambini perduti e culturalmente cancellati dalla carne troppo grassa della nostra nuova cultura antioccidentale.