Londra non si fida più della Cina. E c'entra pure la Zecca reale

Giulia Pompili

La Cina voleva che la sua nuova ambasciata nel Regno Unito fosse ospitata dalla Zecca reale. Quattro anni fa l’intero complesso era stato acquistato dalla Repubblica popolare cinese. Ma ora "l'èra d'oro" delle relazioni con Pechino è finita, tra giornalisti arrestati e attivisti malmenati, anche su suolo inglese

La posizione di un’ambasciata in una capitale è uno dei modi più intuitivi per capire le relazioni tra paese ospitante e ospitato. Ma è anche un modo per proiettare potenza, prestigio, grandezza. Soprattutto in una città come Londra. La Cina voleva che la sua nuova ambasciata nel Regno Unito fosse ospitata dalla Zecca reale. Quattro anni fa l’intero complesso di edifici costruiti due secoli fa, a est della capitale inglese, di fronte alla Torre di Londra e con vista sul Tamigi, era stato acquistato dalla Repubblica popolare cinese con una transazione da trecento milioni di euro. I lavori per ristrutturare l’area da parte della Cina stavano per iniziare. Ma nelle ultime settimane i residenti delle aree limitrofe alla Zecca si sono rivolti a chiunque – perfino al re Carlo d’Inghilterra – per fermare la trasformazione dell’antico complesso in quello che hanno definito “un centro di oscure attività diplomatiche”. Dopo un’attenta revisione, il consiglio locale di Tower Hamlets la scorsa settimana ha negato le autorizzazioni a Pechino, e quindi per andare avanti con il nuovo progetto della “super ambasciata”, la Cina dovrà fare ricorso al ministro per l’Edilizia Michael Gove. La decisione del gruppo di residenti dell’area di appellarsi alla trasformazione dell’antica Zecca arriva dopo una serie di incidenti che hanno riguardato la Cina nel Regno Unito. 


Ieri il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per condannare “la repressione del governo cinese contro le proteste pacifiche” che si sono verificate nei giorni scorsi “in tutta la Repubblica popolare”. I parlamentari europei si dichiarano “preoccupati per le violazioni delle libertà di espressione, associazione, riunione, stampa e media in Cina”, e in particolare si cita “l’arresto di un giornalista straniero che stava coprendo le proteste”. Quel giornalista era Edward Lawrence, che lavora per il bureau di Pechino della Bbc. 

 


L’arresto di Lawrence durante le proteste a Shanghai, il 28 novembre scorso, è stato soltanto l’ultimo di una serie di incidenti a seguito dei quali l’ambasciatore cinese a Londra, il falco Zheng Zeguang, è stato convocato dal Foreign office di Londra. La versione di Pechino è che sono state rispettate tutte le regole locali, che al giornalista era stato chiesto di identificarsi ma non lo aveva fatto – nessuno ha spiegato il perché dell’atteggiamento aggressivo e violento dei quattro poliziotti che si sono buttati su di lui e lo hanno portato via come un criminale. L’altro ieri, il governo inglese ha annunciato che la Cina ha fatto rientrare in patria sei diplomatici che lavoravano al consolato di Manchester. Tra i sei c’è anche il console generale cinese a Manchester, Zheng Xiyuan, che il 16 ottobre scorso, urtato dal piccolo sit in di attivisti pro Hong Kong nella strada all’ingresso del consolato, era uscito fuori, aveva preso per i capelli il manifestante Bob Chan, cittadino dell’ex colonia britannica, lo aveva trascinato dentro al territorio consolare cinese e lo aveva fatto picchiare dagli altri diplomatici. Londra aveva chiesto ai funzionari coinvolti nell’azione di rinunciare all’immunità diplomatica e affrontare la giustizia inglese. I sei sono tornati in Cina. 

 


A fine novembre, durante il suo primo discorso sulla politica estera, il primo ministro inglese Rishi Sunak ha detto che l’èra delle “relazioni d’oro” con Pechino è finita. Così come è scomparsa quell’idea “naïve” che più commercio con l’occidente avrebbe portato a delle riforme politiche a Pechino. “Riconosciamo che la Cina rappresenta una sfida sistemica ai nostri valori e interessi”, ha detto Sunak, “una sfida che diventa sempre più acuta man mano che si muove verso un autoritarismo ancora più forte”. Pechino ha risposto con i dati, sottolineando sui media statali come il commercio estero della Cina con il Regno Unito sia sceso del 6,7 per cento nel 2022 a causa della “crescente politicizzazione delle questioni commerciali da parte di alcuni politici del Regno Unito”. E’ l’arma di ricatto preferita dalla Cina, ma funziona sempre meno. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.