Un futuro con Mosca o senza? Come evitare un'altra guerra

Micol Flammini

Il conflitto è  (molto) in corso e si discute di pace duratura. Zelensky vs Kissinger, inconciliabili

Roma. “E’ un’unica guerra”, ripetono spesso gli ucraini per far capire che il conflitto iniziato nel Donbas nel 2014 non era qualcosa di diverso: i fronti erano sempre gli stessi, le intenzioni anche. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha dichiarato la scorsa settimana che la guerra sarà lunga, l’obiettivo degli ucraini è renderla breve e la consapevolezza dei loro alleati è che lunga potrebbe esserlo davvero. Questo non impedisce però che si pensi alla pace e a come costruirla. Henry Kissinger, ex segretario di stato americano, ha pubblicato sullo Spectator un nuovo articolo sulla guerra in Ucraina – il primo aveva fatto arrabbiare molto Kyiv soprattutto perché suggeriva che avrebbe dovuto rinunciare ai territori persi nel 2014 – in cui suggerisce che il mondo dopo il conflitto dovrà essere costruito in modo tale da evitarne un altro. 

 

Kissinger muta alcune delle posizioni che aveva espresso dopo il 24 febbraio, specificando che non ha più senso  parlare di un’Ucraina fuori dalla Nato: ormai conosce le tattiche e le armi dell’Alleanza atlantica, è integrata forse più di alcuni paesi membri. Propone un referendum nelle aree occupate che avvenga sotto il controllo di organismi internazionali e soprattutto dice che attraverso l’umiliazione di Mosca, che alcuni auspicano, si otterrebbe soltanto un’altra guerra. L’idea è che non si può dimenticare il contributo che la Russia ha dato all’equilibrio mondiale, “nonostante tutta la propensione alla violenza”: il suo ruolo storico non può essere degradato. Il rischio è creare un vuoto che  altri conflitti vorranno colmare. Per Kissinger, nel nuovo ordine mondiale, bisognerà lasciare un posto alla Russia. 
Il processo per la pace inizia spesso molto prima che i negoziati vengano esplicitati, e per portarlo avanti sono due le componenti essenziali, secondo Kissinger: visione e coraggio. Evitare la prossima guerra è diventata la preoccupazione più frequente di quella in corso. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky,  insiste molto sulla necessità di assicurare all’Ucraina delle frontiere stabili e la promessa che non si risveglierà più nel cuore della notte a causa dei missili della Russia. Ha la sua ricetta, che è opposta a quella di Kissinger:  Mosca deve essere sconfitta e soltanto i confini del 1991 possono garantire la stabilità territoriale. E nel 1991, l’Ucraina divenne indipendente con le due regioni del Donbas e la Crimea. Secondo Zelensky, qualsiasi altra soluzione equivarrebbe a congelare il conflitto, a posticipare la  prossima d’aggressione. Kissinger, quando fa riferimento alle basi fragili d’un patto di pace futuro, non intende esclusivamente che una Russia umiliata ed esclusa dall’ordine internazionale potrebbe aprire un nuovo conflitto contro l’Ucraina. Indica piuttosto i rischi che potrebbero essere legati alla mancanza di un attore  così grande: conflitti interni alla federazione russa ed esterni. Se dopo la Guerra fredda, integrare la Russia anche in aree sensibili come lo spazio, in cui i due blocchi erano stati in competizione, era parsa la soluzione naturale per la fine definitiva del conflitto, oggi pensare di riprendere una collaborazione con la Russia sembra ancora più difficile e a molti osservatori, ma non a Kissinger, pare improbabile una nuova prova di fiducia dopo l’invasione dell’Ucraina. 

 

Pensando alla prossima guerra c’è un terreno che appare più instabile di altri, anche se alla sua guida ha un leader sanguinario che sembra ancora più solido di Putin: la Cecenia. La guerra che si è conclusa nel 2009 non ha messo fine allo scontento di una popolazione che chiedeva un suo stato dopo la disgregazione dell’Urss. Ha imposto soltanto un nuovo ordine che risponde alla persona di Ramzan Kadyrov. La guerra contro Kyiv  ha portato alcuni ceceni, dopo anni di repressione e diaspora, a riorganizzarsi. Alcuni combattono nell’esercito che il loro leader vuole sconfiggere, quello ucraino. E altri pensano a come ricominciare la loro lotta. In ogni caso, vedono la liberazione dell’Ucraina come il primo passo per quella della Cecenia. Mentre si pensa alla prossima guerra generata  da questa guerra, c’è chi pensa alla prossima pace, che passerà per questa pace. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)