equilibri di mercato
Come funziona la strategia di Biden per l'embargo del petrolio russo
La produzione di greggio dei paesi del Golfo e degli Stati Uniti sarà fondamentale per garantire un'offerta adeguata evitando una crescita disordinata dei prezzi. Ma le compagnie petrolifere preferiscono distribuire dividendi piuttosto che investire in nuove estrazioni. Le ragioni di questa tendenza e i rischi per il mercato
Hamos Hochstein, il maggior consigliere per l’energia di Biden, ha accusato le imprese petrolifere statunitensi di essere un-American, perché preferiscono, grazie ai cospicui guadagni degli ultimi tempi, ritirare in gran spolvero le proprie azioni dal mercato e distribuire dei lauti dividendi, piuttosto che, sempre grazie ai cospicui guadagni degli ultimi tempi, fare degli investimenti maggiori di quelli normali. Per l’Amministrazione è preferibile avere una maggiore offerta potenziale di petrolio, che si ottiene con dei maggiori investimenti. Questo per far fronte a un eventuale peggior andamento delle relazioni internazionali. Nel caso di una maggior offerta potenziale di petrolio, si potrebbero, infatti, gestire al meglio le tensioni che potrebbero sorgere a seguito della decisione di tagliare gli acquisti di petrolio russo.
L’embargo del petrolio russo trasportato per nave verso l’Europa, nonché il blocco delle assicurazioni europee, le maggiori del mondo, nel caso del trasporto per nave del petrolio russo verso i paesi non europei se questi non accettano il limite superiore al prezzo, il famoso “price cap” stabilito a sessanta dollari al barile, può funzionare ma sotto certe condizioni. Lo scopo dell’embargo è tagliare in misura significativa le entrate fiscali e valutarie dello stato russo per spingerlo alla scelta fra il “burro”, la spesa pubblica volta a ottenere il consenso, e i “cannoni”, la spesa militare per continuare la guerra di aggressione.
La condizione per il funzionamento ordinato dell’embargo è un’offerta di petrolio invariata come quantità a livello mondiale. Solo così non si avrebbe quella crescita dei prezzi che sorgerebbe se l’offerta si riducesse troppo rispetto alla domanda. Una crescita disordinata dei prezzi metterebbe in difficoltà i paesi che comprano il petrolio e aiuterebbe il bilancio delle stato russo. Perché ciò non accada è necessario che, se si riduce di qualche milione di barili l’offerta russa, deve arrivare una quantità equivalente da altre parti. Quali? In gran parte dai paesi del Golfo, e dagli Stati Uniti. Non è però scontato che i paesi del Golfo e le imprese statunitensi decidano di fornire la quantità necessaria di petrolio per bilanciare la minor offerta di petrolio russo. La ragione è nei bilanci “magri” degli anni passati, quelli segnati dalla caduta della domanda per l’effetto depressivo del Covid. Per questa ragione, ossia per avere finalmente dei bilanci “grassi”, un aumento dell’offerta di petrolio nel presente, volta a fermare l’eventuale ascesa dei prezzi legata al taglio del petrolio russo, e una notevole ripresa degli investimenti che abbiano l’effetto di ampliare l’offerta futura non sono molto ben visti sia dai paesi del Golfo sia dalla imprese private statunitensi.
Va anche tenuto presente che gli investimenti nel campo delle energie non rinnovabili saranno ridotti a favore di quelli che ampliano lo spazio di quelle rinnovabili. Qui alberga una contraddizione fra le necessità del presente, che è spingere la Russia a più miti consigli, e quelle del futuro, che è spingere il pianeta verso un minor inquinamento.