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Gli alleati della democrazia

Il messaggio di Zelensky e Biden insieme a Putin e al mondo

Paola Peduzzi

Il presidente ucraino è a Washingotn per incontrare il presidente americano. Il Congresso è chiamato a votare sull'ultimo pacchetto di aiuti del valore di 44 miliardi, si decide anche l'invio dei missili Patriot

L’arrivo di Volodymyr Zelensky a Washington, la prima visita fuori dai confini ucraini da quando Vladimir Putin ha invaso il suo paese, conferma il ruolo dell’America come arsenale globale della democrazia e il ruolo di Joe Biden come principale, solido, attivissimo alleato dell’Ucraina e come straordinario tessitore dell’alleanza occidentale. Qualcuno oggi evocava l’arrivo di Churchill a Washington nel Natale del 1941, pochi giorni dopo l’attacco dei giapponesi a Pearl Harbor: lì si consolidò l’asse che avrebbe vinto la Seconda guerra mondiale contro il nazismo e che avrebbe costruito l’ordine liberale del mondo in cui ancora viviamo. 

Al di là della storia e della retorica, l’incontro tra Zelensky e Biden serve a ricordare che la battaglia per la sopravvivenza dell’Ucraina contro l’aggressione russa è la battaglia di tutti noi per la difesa della democrazia contro l’aggressione del totalitarismo. Gli Stati Uniti sono i principali sostenitori di Kyiv in termini militari, finanziari e umanitari: se il Congresso voterà a favore dell’ultimo pacchetto di aiuti del valore di 44 miliardi di dollari, lo sforzo complessivo di Washington supererà 100 miliardi di dollari in dieci mesi e quattro tranche. 

L’ultimo pacchetto in discussione comprende due miliardi di dollari in armi, compresi i tanto attesi Patriot, che servono all’Ucraina per contrastare la campagna di bombardamenti di Putin che va avanti indefessa da settimane, che ha fatto danni enormi alle infrastrutture, che costringe gli ucraini al freddo e al gelo e che sta alzando in modo incontrollabile il costo della ricostruzione.

Qualcuno oggi in Europa si è lamentato del fatto che Zelensky avesse scelto per questa sua prima e complicatissima uscita Washington invece che Bruxelles, tanto più che l’Ucraina ambisce a entrare il prima possibile nell’Unione europea. Era un chiacchiericcio dimenticabile: non ci sono paragoni, in termini di numeri e di motivazione, con il ruolo dell’America in questa guerra. Un anno fa di questi tempi, Biden lanciava l’allarme delle truppe russe ammassate al confine ucraino, tentava di trattenere Putin prendendo in considerazione le sue richieste di sicurezza tanto che chi lo considerava il presidente americano debole e compromesso con l’Ucraina per via di suoi figlio Hunter e il suo ruolo nell’azienda Burisma già diceva: si piegherà davanti a Putin. Intanto l’intelligence americana e inglese dicevano che il presidente russo era pronto ad attaccare e molti (compresi alcuni che criticavano Biden perché lo consideravano una colomba: gli insiemi degli odiatori dell’occidente si intersecano in molti punti) accusavano gli anglosassoni di essere guerrafondai e per qualche settimana abbiamo assistito a un dibattito schizofrenico in cui si criticava Biden sia perché era remissivo sia perché era guerrafondaio. Il ritiro dall’Afghanistan pesava molto, anzi era il marchio distintivo della presidenza fino a quel momento, e non era per nulla nobilitante. Poi Putin ha invaso e da quel momento l’America ha lavorato in sincrono con l’Ucraina mentre Biden ha rammendato con pazienza la tela dell’alleanza atlantica che era sfilacciata in parecchi punti. 

Quando era arrivato alla Casa Bianca, Biden aveva detto che sarebbe stato più facile ricucire il mondo che ricucire l’America: non immaginava lo squarcio dell’aggressione putiniana in Ucraina, ma è vero che quel che il presidente ha ottenuto in termini di unità internazionale è enorme, mentre il suo paese resta diviso. E’ anche il motivo per cui il Congresso va di fretta con l’approvazione dell’ultimo pacchetto di aiuti: da gennaio arriva la maggioranza repubblicana e parecchi parlamentari dicono che devono lavorare per chi li ha eletti non per  Zelensky. Il sostegno all’Ucraina continua a essere preponderante ma è in calo, proprio come ha scommesso Putin, proprio ora che va superato l’inverno. Zelensky a Washington serve a ricordare che il sostegno dato per difendersi dalla Russia rafforza la sicurezza di tutti e che una vittoria sulla Russia rafforza non soltanto Kyiv ma tutto quanto l’occidente. Da parte sua Zelensky mostra gratitudine e lealtà, va dritto dal fronte di guerra di Bakhmut a Washington, alla Casa Bianca e al Congresso, srotolando il filo che collega i suoi uomini sul campo e l’arsenale delle nostre democrazie – un filo che si vede anche dallo spazio.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi