Il viaggio di zelensky

Perché gli aiuti all'Ucraina non sono beneficenza

Micol Flammini

Il denaro destinato a Kyiv serve a contenere una minaccia globale. I conti dimostrano l'investimento e come il Cremlino si è messo a nudo con la sua stessa invasione (e ora prende armi dalla Corea del nord)

Arrivato davanti al Congresso americano, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha preso la parola dopo un lungo applauso, durante il quale ripeteva di  non meritare tanto calore. Ha ringraziato gli Stati Uniti per il sostegno e ha detto ai deputati  che non avrebbero dovuto vedere il denaro speso per l’Ucraina come beneficenza, perché non lo è. Si tratta piuttosto di un investimento. Zelensky è un bravo oratore e sapeva bene che quelle parole potevano  depotenziare il mantra da campagna elettorale che i soldi americani vanno spesi in America. Washington sa altrettanto bene quanto l’investimento per aiutare Kyiv sia importante per la sicurezza globale e i due miliardi di dollari in aiuti militari annunciati in concomitanza della visita del presidente ucraino sono pochi se paragonati alla minaccia che Kyiv sta contenendo. 

 

Nel 2022 il bilancio totale della spesa degli Stati Uniti per la Difesa è stato pari a 715 miliardi di dollari. Timothy Ash, in un’analisi per il think tank Cepa, ha calcolato che l’aiuto all’Ucraina costituisce circa il 5,6 per cento della spesa totale, che viene impiegato per contrastare uno dei principali rivali strategici: la Russia. A novembre, le Forze armate dell’Ucraina avevano già neutralizzato centomila soldati russi, circa la metà degli uomini che Mosca disponeva all’inizio del conflitto. Sono riuscite a distruggere blindati, pezzi di artiglieria, aerei e navi. L’equazione è semplice: con il 5,6 per cento del bilancio gli Stati Uniti hanno fatto in modo che il 50 per cento della forza russa venisse distrutto. Ash divide il budget per la Difesa a seconda delle minacce e assegna a ogni minaccia una somma. La Russia assorbirebbe fino a 150 miliardi di dollari di spesa, ma quest’anno Washington ne ha spesi soltanto 40 miliardi. Per Mosca, inoltre,  sostituire il materiale distrutto è complicato, il presidente russo Vladimir Putin ha già dirottato la maggior parte delle spese statali nel settore della Difesa, ma il suo prodotto interno lordo è decisamente inferiore rispetto a quello degli occidentali e non può sperare di vincere neppure la corsa agli armamenti. Mercoledì, riunito con i suoi militari, il capo del Cremlino ha annunciato l’arrivo di nuove armi, come il missile ipersonico Zircon, che però  non serve  in una guerra di conquista come quella in Ucraina. Ha promesso nuovi investimenti, ma l’invasione ha fornito agli Stati Uniti anche la possibilità di conoscere meglio la tecnologia russa. Una consapevolezza maggiore, che già era profonda, dell’arsenale di uno dei suoi rivali strategici, dà agli americani anche l’opportunità di concentrarsi su quello che considerano la loro prima minaccia: la Cina. 

 

Il danno per Mosca è anche di immagine. Se prima dell’attacco contro l’Ucraina godeva della fama di aver messo in piedi il secondo esercito più potente del mondo e quindi di possedere armi invidiabili, dopo aver voluto mettere le sue armi nella vetrina della guerra, si è privata di una leva internazionale forte. In condizioni di penuria si sta affidando anche ad alcuni dei suoi alleati. Gli iraniani hanno fornito droni che hanno dimostrato di non poter neppure resistere alle basse temperature e  ieri il portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza della Casa Bianca, John Kirby, ha confermato  che la Corea del nord ha rifornito di armi la compagnia di mercenari Wagner che combatte assieme ai soldati di Mosca. Missili e munizioni di Pyongyang, secondo gli Stati Uniti, non cambieranno le cose sul campo di battaglia e non faranno uscire la Russia dallo stallo di cui ha parlato lo stesso presidente Putin, che ieri ha anche usato la parola “guerra”, da lui stesso proibita.  

 

L’unico ad aver pensato che attaccare l’Ucraina potesse essere un investimento è stato proprio il capo del Cremlino. Credeva fosse una scommessa facile da vincere in termini di potere, gloria, ricchezza. Ha invece causato morti e sofferenze in Ucraina e messo a nudo i vuoti della sua nazione. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)