un altro autore della guerra
Quel patto segreto con Hitler che Stalin ha sempre negato, e che ora imbarazza Putin
L'accordo Molotov-Ribbentrop, quello di non aggressione necessario nel 1939, è accompagnato da un protocollo aggiuntivo: così i due regimi decidevano come spartirsi l'Europa orientale
Il 21 febbraio scorso, nel discorso con cui annunciò l’attacco all’Ucraina, Putin citò il precedente dell’invasione di Hitler. “Dalla storia è arrivata una lezione. Era il 1941 e l’Urss cercava di prevenire o almeno ritardare l’inizio della guerra, non provocando il potenziale aggressore. Non servì a nulla e il 22 giugno la Germania nazista, senza dichiarare guerra, ci invase”. Da cui la decisione di “condurre un’operazione militare speciale” per ottenere “la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina”. Però Putin ha anche ricordato che “Stalin incorporò nell’Urss e trasferì all’Ucraina alcune terre che prima appartenevano a Polonia, Romania e Ungheria”. Un riferimento che da una parte evoca la spartizione della Cecoslovacchia, voluta da Hitler, e solo dopo la quale la Rutenia subcarpatica divenne ungherese. Dall’altra evoca l’accordo diretto tra Stalin e Hitler, grazie al quale l’Urss si prese un pezzo di Polonia ed ebbe il via libera per mettere le mani anche su pezzi di Romania e di Finlandia, oltre che su Estonia, Lettonia e Lituania.
Evoca, attenzione: non menziona. È esattamente il tipo di rimozione la cui cronistoria è ricostruita in “Il protocollo segreto - Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia” (Il Mulino, 280 pp., 22 euro). Autrice Antonella Salomoni, docente di Storia contemporanea all’Università della Calabria e di Storia della Shoa e dei genocidi all’Università di Bologna, autrice di testi sia sulla storia dell’Urss che della Shoah. Come ricorda la storica, il 21 agosto 1939, qualche minuto prima della mezzanotte tedesca, la radio di Berlino interruppe un programma musicale per diffondere il comunicato in cui si annunciava: “Il governo del Reich e il governo sovietico hanno stretto un accordo per stringere un patto di non aggressione. Il ministro degli Esteri arriverà mercoledì 23 agosto a Mosca per la conclusione dei negoziati”. Fu quello che passò alla storia come patto Molotov-Ribbentrop. Anche Putin, in modo indiretto, evoca il modo in cui quell’intesa fu spiegata dall’Urss dopo che la Germania nazista fu diventata nemico. Un modo per guadagnare tempo, “non provocando il potenziale aggressore”, reso necessario dalle esitazioni dei governi di Londra e Parigi a concludere una alleanza seria con Mosca dopo aver ceduto a Hitler a Monaco, e anche dal rifiuto della Polonia di far passare sul suo territorio l’Armata Rossa.
Soltanto che, in realtà, assieme al patto c’era anche un “protocollo aggiuntivo”, tenuto segreto, in cui i due regimi si accordavano per spartirsi l’Europa orientale. Insomma, Stalin in realtà aveva contribuito con Hitler allo scoppio della guerra. A Norimberga, alcuni gerarchi nazisti processati si appellarono a quel documento, chiamando per lo meno uno dei vincitori che li processavano a correi. L’Urss ovviamente impose che non venisse utilizzato, ma con l’inizio della Guerra fredda negli Stati Uniti il testo fu pubblicato lo stesso. Si era però usata una copia microfilmata ceduta da uno stretto collaboratore di Ribbentrop in cambio della libertà, visto che gli originali tedeschi erano stati distrutti in un bombardamento. Ciò diede spunto all’Urss di ribattere nel 1948 con un opuscolo scritto in gran parte dallo stesso Stalin e dal titolo significativo: “I falsificatori della storia”.
Insomma, per l’occidente il protocollo segreto era la prova della contiguità tra regime nazista e regime staliniano. Per l’Urss era una calunnia. In epoca gorbacioviana sul riconoscimento dell’autenticità del protocollo segreto diedero battaglia innanzitutto i baltici ma anche riformatori russi. A fine 1992 il ritrovamento di due plichi che contenevano l’originale permise infine di acclarare che il protocollo segreto era esistito davvero. Ma a quel punto la dissoluzione dell’Urss iniziò a generare nella nuova Russia sentimenti revanscisti, da cui un tipo di storiografia che è tornata indietro rispetto alle acquisizioni degli anni ’80. In capo a trent’anni, non solo la storiografia ma anche il comportamento del Cremlino è tornato al 1939.