Tutto quel che abbiamo scoperto affrancandoci dal gas di Putin
Nel 2022 l’Italia e l’Europa hanno dimostrato che l’indipendenza energetica si può fare, la transizione ecologica pragmatica pure, e che i catastrofisti hanno toppato ancora. Le parole di Cingolani
"Si diceva che sostenere una democrazia aggredita come quella Ucraina avrebbe reso le nostre democrazie più vulnerabili e invece abbiamo dimostrato il contrario. Si diceva che sostenere velocemente un percorso di indipendenza energetica da un paese divenuto canaglia, come la Russia, avrebbe reso più vulnerabile la nostra economia e non è stato così. Si diceva che trovare rapidamente delle alternative alle fonti di approvvigionamento russe sarebbe stato non solo sbagliato ma anche impossibile e anche qui non è stato così. E ricordo come se fosse ieri quanti illustri osservatori sostenevano che l’Italia non ce l’avrebbe fatta, che lo stoccaggio sarebbe stato impossibile, che il razionamento sarebbe stato inevitabile. E invece no. E invece, nel giro di dieci mesi, l’Italia ha dimostrato di essere forte, oggi si direbbe resiliente, e dieci mesi dopo l’inizio della guerra il nostro paese ha dimostrato non solo di essere dalla parte giusta della storia, contro i dittatori, a difesa della democrazia liberale, ma di avere la forza, la competenza, la tenacia, le palle appunto, per trasformare le crisi in opportunità, per essere ottimisti anche durante le stagioni più difficili e per poter indirizzare anche la traiettoria dell’Europa”. Le parole tra virgolette racchiudono il pensiero consegnato in questi giorni ad alcuni amici da Roberto Cingolani, ministro della Transizione del governo Draghi, consulente per l’energia del governo Meloni per qualche settimana, e sono parole che, allo scadere dell’anno, ci permettono di ragionare su un tema che non riguarda la storia dell’ex ministro ma riguarda la storia recente dell’Italia. Una storia che ci permette di dire, alla fine del 2022, che l’anno trascorso non sarà ricordato solo per tutto ciò che ci ha ferito ma verrà ricordato anche per tutto ciò che ci ha formato.
In questi mesi l’Italia ha sofferto, certo, ha patito le conseguenze delle guerra in Ucraina, ovvio, ha subìto gli effetti negativi generati dall’inflazione. Ma oggi, in questo momento, può dire di avercela fatta. Era uno dei paesi più dipendenti dal gas russo e oggi è uno dei paesi più all’avanguardia nella ricerca di alternative a quel gas. Era un paese a sovranità limitata, sull’energia, un paese che negli anni ha scelto di importare il 95 per cento del suo fabbisogno di gas (nel 2020 il fabbisogno di gas naturale dell’Italia è stato di circa 70 miliardi di metri cubi e di questi solo 4,1, quindi poco meno del 6 per cento, sono stati estratti in Italia) piuttosto che occuparsi di come sfruttare gli oltre 90 miliardi di metri cubi di metano in fondo al mare italiano e oggi, invece, è un paese che ha scelto di immettere nella transizione ecologica un minore tasso di populismo e un maggior tasso di pragmatismo. “La traiettoria del gas, in Italia”, è il pensiero di Cingolani, “ha rappresentato la perfetta cartina al tornasole dei nostri vizi, delle nostre virtù, dei nostri tabù, dei nostri peccati e delle nostre opportunità. In base ai dati del 2020, il mix energetico italiano risultava per più dell’80 per cento composto da fonti fossili, quali gas e petrolio, rispettivamente al 42 per cento e al 36 per cento, e in modo residuale carbone (4 per cento), mentre le fonti green contavano per il 18 per cento circa (11 per cento fotovoltaico ed eolico, 7 per cento idroelettrico). Dunque, la lezione è ovvia: chi ha contribuito ad alimentare l’idea che la transizione ecologica dovesse coincidere con la rimozione immediata delle fonti energetiche di natura fossile ha contribuito a costruire una politica di indipendenza energetica di natura puramente autolesionistica, che ha reso l’Italia ancora più dipendente dall’estero, meno sovranista si direbbe oggi, e che ha portato la produzione domestica di gas nel 2021 a 3 miliardi di metri cubi che rappresenta il 4 per cento dell’approvvigionamento dell’Italia”.
Oggi, dunque, sul fronte energetico, c’è la consapevolezza di alcuni errori commessi nel passato. C’è la consapevolezza di quanto la responsabilità sulla politica energetica sia lo specchio della nostra visione del mondo, della nostra attenzione alla difesa del benessere e alla tutela della democrazia, e in questo senso la strategia di affrancamento dell’Europa dal gas russo potrebbe avere un impatto positivo per l’Europa e per l’Italia anche per altre ragioni. Finalmente, ragiona con i suoi amici Cingolani, ci stiamo rendendo conto del ruolo centrale che avrà l’Africa nell’approvvigionamento futuro di energia. Finalmente stiamo capendo quanto è importante per l’Europa il rapporto con gli Stati Uniti, che diventeranno il primo fornitore di gas naturale dell’Unione europea. Finalmente abbiamo capito che l’Italia, che è il paese che ha maggiori gasdotti in Europa, può diventare un nuovo grande hub europeo e può essere protagonista anche nel Nordafrica, dove in mancanza di un’iniziativa europea il rischio di lasciare campo libero a Cina e Turchia è un rischio che non possiamo permetterci di correre. E infine, ma non è certo la questione meno rilevante, abbiamo capito che essere a favore delle rinnovabili solo a parole, solo a chiacchiere, significa predicare bene e razzolare male. Perché oggi essere contro le rinnovabili, ammonisce Cingolani, “non significa dare solo incentivi per costruire pannelli solari. Significa qualcosa di più importante. Significa capire che il 70 per cento dei progetti rinnovabili è fermo a causa della burocrazia. Significa capire che è inaccettabile che la durata media di un iter autorizzativo in Italia sia di sette anni, contro una media europea di due anni. E significa capire che la metà dei progetti rinnovabili presentati non viene realizzato. Essere realisti oggi significa tutto questo ma significa anche qualcosa in più che credo sia la vera lezione che ci consegna il 2022”. Chi ha avuto modo di parlare con l’ex ministro in questi giorni, ex ministro che ha avuto il merito di portare in prima persona in Europa la battaglia sul price cap, ha ascoltato dalla voce di Cingolani una riflessione di questo tipo. Nel 2022, alla fine, abbiamo capito che le politiche energetiche, in un grande paese come l’Italia, vanno sempre più immaginate a livello europeo. E in questo senso la creazione del price cap, battaglia che è stata fatta propria, intelligentemente, anche dal governo che ha preso il posto di quello guidato dall’ex presidente della Bce, ci ha fatto capire con chiarezza che anche paesi decisi a fare da soli, in Europa, se si trovano di fronte a proposte chiare, lineari, non possono che capitolare. Cingolani, nel caso specifico, pensa agli amici tedeschi e la storia è ormai nota. La Germania era contraria al price cap non per questioni di merito ma per questioni di metodo. Il governo tedesco, ormai lo sappiamo, ha ripetuto per mesi a Cingolani che “la priorità per il suo sistema industriale era quella di non perdere la possibilità di poter rifornire di gas le sue imprese, a qualsiasi prezzo”. E quando i tedeschi dicevano a qualsiasi prezzo lo dicevano in senso letterale. Avendo un surplus di bilancio importante, il governo tedesco ha sempre detto, anche allo stesso Cingolani, che “il price cap per loro sarebbe stato deleterio perché avrebbe spinto verosimilmente la Russia a chiudere i suoi rubinetti. E la Germania diceva che avere i rubinetti chiusi sarebbe stato più pericoloso che avere un gas a prezzi elevati”.
I prezzi elevati, secondo questo ragionamento, si possono tamponare attingendo al debito, i rubinetti chiusi non si possono tamponare. Noi, ha ricordato spesso negli ultimi mesi Cingolani, noi come Italia abbiamo sempre spiegato alla Germania che la Russia ha bisogno dell’Europa, dei soldi europei, più di quanto l’Europa ha bisogno della Russia, perché con un gioco di squadra europeo le alternative al gas russo si possono trovare. E abbiamo spiegato, per molti mesi, quanto fosse importante, per il resto d’Europa, fissare un tetto al prezzo del gas, per tamponare le pericolose speculazioni di mercato. Oggi che il price cap è diventato realtà, oggi che l’Italia è riuscita a portare dalla propria parte anche la Germania, possiamo dire, pensa Cingolani, che avevamo ragione e quando, in questi giorni, nei giorni invernali che si diceva sarebbero stati drammatici per l’Italia, il costo del gas è lì che viaggia a livelli pre guerra onestamente “penso che l’Italia abbia fatto il proprio e abbia dimostrato cosa vuol dire essere un grande paese”. Viene allora da chiedersi: cosa ci manchi per esserlo ancora? “Ci manca un tratto culturale, più che tecnologico, che riguarda un approccio che l’Italia dovrebbe imparare a fare proprio”. Per non essere demagogica, la transizione ecologica deve essere compatibile con la ricerca del benessere, questo è ovvio, ma deve essere soprattutto compatibile con una visione del mondo “non ideologica”. Ed essere non ideologici oggi significa una cosa molto semplice. “Significa non avere paura delle innovazioni. Significa affidarsi alla tecnologia. Significa essere neutrali rispetto a tutte le possibilità che ha un paese come l’Italia per inquinare di meno senza essere costretti a produrre di meno”. Neutralità tecnologica, difesa del benessere, tutela della democrazia, nessuna paura dell’innovazione. Tra Meloni e Draghi, da questo punto di vista, dice ancora Cingolani, esiste una continuità, “un filo che non si è spezzato”, e vedrete che la sovranità dell’Italia del futuro, per un grande paese come il nostro, passerà da qui. Dalla consapevolezza dei nostri punti di forza. Dalla volontà di affrontare i nostri tabù. Dalla capacità di mettere a fuoco i nostri vizi, di governarli, e di trasformare, come ha fatto l’Italia nel 2022, i problemi in opportunità per crescere e finalmente mostrare le palle.