I cacadubbi di Bucha
Tarquinio, Spinelli, Anpi, Santoro, Cardini, Capuozzo. I tanti disseminatori di interrogativi sulle responsabilità dei russi nei massacri in Ucraina restano in silenzio ora che ci sono tutte le risposte. Ma volevano la verità o metterla in dubbio?
Quei corpi martoriati e abbandonati per strada con le mani legate dietro la schiena, lo slalom tra i cadaveri delle auto che entrano nella città liberata, le fosse comuni vicino alla chiesa, i civili portati via in fila prima di essere fucilati. Le immagini di Bucha, del massacro di oltre 400 persone tra le quali molti minori, resteranno impresse a lungo nella memoria collettiva come simbolo dei crimini di guerra della Russia in Ucraina.
Proprio in questi ultimi giorni del 2022 stanno emergendo ulteriori conferme, se mai ce ne fosse stato bisogno, e ulteriori dettagli sulle atrocità commesse dalle forze armate russe. Il New York Times in un’inchiesta durata otto mesi ha raccolto testimonianze, fotografie e video da telecamere di sicurezza che mostrano le uccisioni di anziani in bici, di giovani in cerca di cibo, di donne in fuga dalla città, di persone nelle loro case. Questo è cio che è accaduto per tutto il mese di marzo. Il giornale americano ha anche identificato una ventina di militari russi che hanno usato i telefoni delle vittime ucraine subito dopo averle ammazzate.
Eppure in Italia, sin dal primo giorno della ritirata russa da Kyiv e dal ritrovamento di tutti quei morti innocenti, si è dibattuto come forse in nessun altro paese del mondo (eccetto la Russia naturalmente, e la Bielorussia probabilmente) dell’autenticità della ricostruzione e dei possibili autori. Intellettuali e giornalisti hanno passato il tempo a porre “dubbi” sulla ricostruzione ufficiale ucraina. Non sarà una messa in scena? E se pure i morti sono veri, siamo sicuri che siano stati i russi? Erano questi i “dubbi”, tutti in nome della ricerca della verità, che intellettuali e giornalisti sciorinavano sui quotidiani e nei talk show.
Il 5 aprile, subito dopo la scoperta dei morti di Bucha, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio su La7 diceva di fare attenzione all’“uso propagandistico delle immagini” citando “quello che accadde in Libia, quando cademmo tutti nella trappola delle fosse comuni che erano state sciorinate agli occhi del mondo e poi scoprimmo che era una montatura pazzesca”. Il giorno dopo Barbara Spinelli, da poco elogiata dall’Ambasciata russa per la sua analisi sulla guerra in Ucraina, scriveva sul Fatto quotidiano: “Verrà forse il giorno in cui sapremo qualcosa di meno impreciso su quel che è successo a Bucha presso Kyiv: chi ha ucciso in quel modo? I russi hanno voluto lasciare questo ricordo nel ritirarsi dalla città il 30 marzo, cioè 4 giorni prima della scoperta del macello? Perché? Come mai il sindaco di Bucha ha annunciato il 31 marzo che in città non c’erano più truppe russe e non ha accennato ai civili uccisi in strada con le mani legate dietro la schiena?”. Gli interrogativi restavano aperti, “in attesa di prove genuine”.
Due giorni prima l’Anpi aveva pubblicato un comunicato di condanna del massacro di Bucha “in attesa di una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’Onu e formata da rappresentanti di paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili”. L’associazione dei partigiani non si sbilanciava sui responsabili. Può essere stato chiunque. Pure Michele Santoro, intervistato dalla Verità, aveva “molti dubbi”: non tanto sui morti che “sono veri”, ma sulla “connessione tra gli elementi, trasformati in una comunicazione organica per trasformare tutto in uno scontro tra cattivissimi e buonissimi”. Dubbioso era lo storico comunista Angelo d’Orsi. E come lui aveva molti “dubbi” il collega post fascista Franco Cardini: “Per Bucha abbiamo accettato come oro colato la versione ucraina”. Anche Cardini si lanciava in disamine sulla disposizione dei corpi e delle macchie di sangue. Ma più di tutti a mettere in dubbio le responsabilità russe a Bucha è stato, nei talk show Mediaset, il giornalista Toni Capuozzo che per la sua opera ha recentemente ricevuto un elogio dalla Tass, l’agenzia di stampa russa, per essere stato “uno dei pochi che ha cercato di scoprire frodi e falsi, compresi quelli su Bucha”.
L’elenco è rappresentativo e sicuramente non esaustivo. Non si comprende però perché tutti questi intellettuali e disseminatori di interrogativi ad aprile se ne stiano in silenzio ora che ci sono le risposte. Non si comprende come mai i talk show che hanno dedicato ore a dare credito all’ipotesi che le cose non fossero come apparivano, non si occupino di Bucha ora. Ora che si conosce esattamente la verità, ora che si conoscono i nomi delle vittime e degli aguzzini, ora che ci sono le immagini dei massacri e le testimonianze di chi ha visto le esecuzioni dal vivo.
Non si comprende perché queste personalità del fronte “pacifista” non condannino ora gli eccidi dei russi con la stessa solerzia e la stessa meticolosità con cui dubitavano della loro responsabilità allora. Il sospetto, a questo punto, è che a certi professionisti del dubbio non interessasse tanto accertare la verità ma, appunto, metterla in dubbio.