la polemica
Arezzo contro il concerto del soprano russo Netrebko. Ci risiamo con l'ipocrisia
La comunità ucraina vorrebbe che fosse annullato lo spettacolo della celeberrima cantante e la petizione incassa anche firme italiane. Forse perché la resistenza a Putin la si fa solo per interposta persona. E allora si sacrificano l’arte e la musica
Ci risiamo. Le colpe di Putin ricadono sui russi che non devono più cantare. O almeno non deve cantare, il 7 febbraio al teatro Petrarca di Arezzo, Anna Netrebko, forse il più celebre soprano del mondo e di certo il migliore (che però i giornali locali che hanno dato la notizia definiscono “la” soprano, quindi la fine della civiltà occidentale non è più vicina, è proprio arrivata). Lo chiede la comunità ucraina cittadina con una petizione supportata anche da qualche firma italiana. Il sindaco, Alessandro Ghinelli, centrodestra, ribatte con sensatezza che lui è così filo Ucraina da averci portato aiuti anche di persona, e che altri se ne acquisteranno con i proventi, fra l’altro, del concerto della Netrebko. Uno a uno e palla al centro.
E qui bisogna davvero intendersi, anche fra noi zelenskyani a ventiquattro carati. Già il console ucraino a Milano aveva clamorosamente sbagliato mira chiedendo alla Scala di rinunciare al Boris Godunov inaugurale: più che un delitto, un errore, perché sarebbe stato molto meglio intestarselo invece di contestarlo, dato che come spot sulle nefandezze del potere moscovita il Boris è formidabile. In quell’occasione, il presidente Mattarella aveva dovuto una volta di più spiegare l’ovvio, cioè che una cosa sono la cultura e il popolo russo, un’altra chi governa il paese e ne invade un altro. Ma, si dirà, ad Arezzo protestano un’artista, non l’arte. Però la musica senza musicisti è soltanto un insieme di fogli pentagrammati. E se la Netrebko sulla coscienza qualche peccatuccio putiniano l’ha, come la famigerata donazione di un milione di rubli al teatro di Donetsk annessa da Mosca, ha però anche già prodotto la pubblica abiura che ormai si chiede a tutti gli artisti russi, anche quelli naturalizzati austriaci come lei: “Condanno espressamente la guerra contro l’Ucraina e il mio pensiero va alle vittime. Riconosco e mi rammarico che alcune mie azioni o dichiarazioni possano a volte essere state male interpretate”.
Dovrebbe bastare anche per la nostra repubblica fondata sulle scuse, categoria sentimentale e paragiuridica che ha ormai sostituito il diritto e anche il semplice buonsenso. Solidarizziamo, semmai, con gli appassionati di Arezzo, deliziosa città piena di Piero della Francesca e di Cimabue ma non esattamente una capitale mondiale della musica, che, se il sindaco non terrà duro, forse perderanno l’occasione più unica che rara di ascoltare in casa la diva. Peraltro, non si vede davvero come Annuska che canta da par suo qualche romanza possa essere propaganda putiniana, e poi in ogni caso sarebbe poca roba con tutti gli utili idioti che già la fanno in televisione e sui giornali ogni giorno, e gratis (o forse no, un bel dì vedremo). Né si tratta di fare la solita retorica sulla musica che unisce e affratella e quindi va tenuta ben distinta dalla politica, anche perché fra l’altro è falso, Händel e Mozart e Verdi e Wagner sapevano benissimo che il loro teatro musicale era anche un gesto politico, come del resto è il teatro, tutto, da due millenni e mezzo.
Si può capire, se non condividere, la presa di posizione degli ucraini. Un po’ meno quella degli italiani, se non come il solito bel gesto a buon mercato. Siamo con gli ucraini, almeno chi è dotato di cervello e di cuore, ma in realtà nessuno è disposto davvero a morire per Kyiv, e nemmeno a rinunciare a un paio di gradi dei termosifoni. La resistenza a Putin la si fa solo per interposta persona. E allora si sacrificano l’arte e la musica, considerate, nel supermarket del “tempo libero”, balocchi e profumi per eccentrici pensanti, e sentendosi per di più un’anima bella, impegnata, consapevole, perfino coraggiosa. Zittire Anna Netrebko è certo più facile che bloccare Putin. Un paio di giorni fa è serenamente transitato su Raiuno Pattini d’argento, anzi “Serebrjanye kon’ki”, un kolossal russissimo da 500 milioni di rubli oltretutto fresco fresco, del 2020, e nessuno ha fatto un plissé. Ipocrisia, portami via. Fare a meno di Ciajkovskij si può, della prima serata tivù giammai, nei tinelli riscaldati dal gas di Putin.
L'editoriale dell'elefantino