Global Positioning System
Russia e Cina giocano con le interferenze al Gps: è il nuovo fronte bellico
Da anni Mosca si addestra per disturbare il segnale. Due modi per farlo: jammer e spoofing, entrambi economici e poco delicati. Ma la concorrenza tecnologica si gioca anche sulle alleanze, come quella tra Putin e Xi Jinping
Prima della rete internet c’era Arpanet, un progetto militare statunitense avviato nel 1966, da cui le connessioni moderne derivano direttamente. Ma l’odierna rete non è l’unica tecnologia d’uso comune ad avere profonde radici militari: anche il sistema Global Positioning System, comunemente detto Gps, ha una storia simile (è tuttora di proprietà del governo degli Stati Uniti e viene operato dalla Space force). Nonostante il suo diffuso uso civile, il Gps rimane un’infrastruttura fondamentale nel settore militare ed è al centro di importanti casi di manomissione e hackeraggio proprio al confine tra Russia e Ucraina.
Per creare disagi a questo sistema non occorrono attacchi diretti ai satelliti di comunicazione ma semplici azioni di disturbo che possono essere compiute da terra. Secondo Erik Kannike della società di intelligence militare estone SensusQ, questo tipo di operazioni “si è diffuso su una scala mai vista prima” in Ucraina, con problemi di rete in “centinaia, se non migliaia, di chilometri attorno alle città più strategiche”, ha spiegato a Wired. Il fenomeno si intensificato proprio nelle ultime settimane ed è volto a ostacolare i droni ucraini, che si servono del Gps per attaccare obiettivi nel territori russi.
Per vederlo in azione, basta visitare gpsjam.org, un sito nato lo scorso luglio che mostra in tempo reale la mappa delle interferenze registrate dal Gps, sulla base dei dati di Ads-B Exchange, azienda che raccoglie e pubblica informazioni sui voli di linea e commerciali. Gps Jam indica con un quadratino rosso ciascuna irregolarità registrata al servizio, con risultati piuttosto chiari: molte macchie rosse in Russia, spesso vicine al citato confine, ma anche su Mosca; e poi in Turchia, in Siria e in Libano. Quasi tutto il resto del mondo, invece, è una distesa verde di segnale non disturbato.
Ci sono due modi di creare simili disturbi, spiega al Foglio il professore Stefano Zanero, docente di Cybersicurezza al Politecnico di Milano: si possono usare dei jammer, “che rendono impossibile la ricezione del segnale in aree relativamente piccole, come un campo di battaglia”; oppure si possono eseguire attacchi spoofing, con cui “vengono generati dei segnali fasulli per ingannare il ricevitore nemico”.
Nel primo caso si utilizzano dei dispositivi piuttosto piccoli ed economici (su Amazon se ne trovano anche a trenta euro), chiamati appunto jammer, in grado di disturbare le frequenze utilizzate dalla rete Gsm, Wi-Fi, 3g e Gps, con un ridotto raggio d’azione. Lo spoofing, invece, agisce su scala maggiore e prevede la copertura del segnale Gps proveniente dal satellite con un segnale particolarmente forte fatto da partire da terra. Anche in questo caso, non si tratta di operazioni particolarmente delicate: basta un radiotrasmettitore Gps, sempre acquistabile online. Il tutto è reso ancora più facile dal fatto che il segnale del sistema satellitare non è criptato, quindi facilmente disturbabile.
È da tempo che la Russia si addestra in questo campo. Già nel 2018, la rivista Foreign Policy raccontava le nuove “guerre del Gps” citando particolari disturbi registrati nei pressi delle Repubbliche del Baltico in concomitanza con un’esercitazione militare russa, e poi ancora in Norvegia e in Finlandia. Anche un altro strano fenomeno di distorsione dei segnali sembra essere di fattura russa: dall’agosto del 2020, secondo alcuni report, almeno cento navi da guerra di diversi paesi hanno subito una manipolazione della loro posizione radar, facendole apparire ai sistemi nei luoghi più disparati, anche in zone strategicamente “calde”. Questi incidenti vengono creati sfruttando un sistema di identificazione automatico, nato per evitare collisioni in mare, e fanno pensare a una matrice comune.
La guerra del Gps non è fatta solo di disturbi e di segnali corrotti ma di vera e propria concorrenza tecnologica. Dal 2016 l’Unione europea ha lanciato il sistema Galileo, nato per integrarsi e cooperare con il sistema statunitense, ma il panorama dei Sistema satellitare globale di navigazione (l’acronimo inglese è Gnss) è sempre più popolato, riproducendo al suo interno le alleanze tra superpotenze. Come quella tra il sistema cinese (BeiDou) e quello russo (Glonass), siglata nel febbraio del 2022 come parte del trattato di collaborazione “senza limiti” firmato dai rispettivi leader Xi Jinping e Vladimir Putin.
A tal proposito, Zanero sostiene che l’esistenza stessa di BeiDou e Glonass, ma anche di Galileo, sia dovuta proprio all’importanza strategica e militare dei Gnss e alla necessità di “essere indipendenti da un sistema gestito dall’America”. Insomma, lo squilibrio geopolitico di questo momento storico si vede anche dal mosaico dei diversi sistemi di comunicazione satellitari.
Un settore per il quale la guerra in Ucraina ha agito come accelerante dei processi in corso da tempo, seppur in sordina. Nel corso del conflitto, infatti, si è parlato di Gps ma anche di nuove forme di comunicazione come Starlink, il sistema di connessione satellitare sviluppato da SpaceX, l’azienda aerospaziale di Elon Musk, diventato cruciale per l’esercito ucraino. Nel 2020 l’esercito statunitense sembrò premiare il modello (costituito da costellazioni di migliaia di satelliti di piccole dimensioni) come alternativa anti-jamming al Gps, ma il test pratico nel conflitto europeo ha dimostrato come anche il segnale Starlink possa essere disturbato (lo ha ammesso lo stesso Musk lo scorso marzo). Il problema di fondo rimane la comunicazione satellitare e la possibilità di manipolarla “prima che raggiunga la sua destinazione”, come nota il sito specializzato Passwork.
Nonostante tutto, Starlink rimane una tecnologia interessante sia per l’utilizzo civile sia militare, soprattutto perché, almeno per ora, non sembra avere concorrenti. “Tuttavia è criticamente dipendente da SpaceX e dal portafoglio personale di Elon Musk”, conclude Zanero, “il che al momento mi sembra una vulnerabilità più che un vantaggio”.