Foto di Eraldo Peres, AP Photo, via LaPresse 

Los bolsonaristas

Da Bannon alle armi. Il filo che unisce bolsonaristi e trumpiani

Maurizio Stefanini

Chi ha assalito il palazzo in nome di Bolsonaro, che metodi usa e a che complotti crede. Arrestati in 1.200, sono stati trainati dalla retorica e dall'ambiguità dell'ex leader del paese. E l'ispirazione ai fedeli di Trump di Capitol Hill è chiara

“È un giorno triste per il Brasile, questo movimento a Brasilia è una vergogna per tutti noi e non rappresenta il nostro partito”, è stato il commento che sull’assalto di militanti bolsonaristi ai palazzi del potere ha dato Valdemar Costa Neto, leader del Partito liberale dove Jair Bolsonaro entrò nel 2021 e che in realtà è solo l’undicesima sigla in cui Bolsonaro milita sin dall’inizio della sua carriera politica – ma è comunque il partito dell’ex presidente. “Le manifestazioni pacifiche, secondo la legge, fanno parte della democrazia”. 

“I saccheggi e le invasioni di edifici pubblici come quelli di oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sono illegali. Respingo le accuse, senza prove, attribuitemi dall’attuale capo dell’esecutivo del Brasile”, è stato il tweet con cui Bolsonaro si è difeso dalla Florida. “Lula ha rubato le elezioni. i brasiliani lo sanno”: è uno dei messaggi con cui Steve Bannon sta inondando il suo social, Gettr, in sostegno ai “Brazilian Freedom Fighters”.

I bolsonaristi che sono via via arrestati dopo lo sgombero: almeno 1.200. Qualcuno sospetta un gioco delle parti, ma forse sarebbe più corretto parlare di parti con differenti giochi. I partiti della coalizione bolsonarista hanno infatti avuto una grossa affermazione sia alle politiche che tra i governatori. È stata ovviamente la retorica di Bolsonaro che li ha trainati, ma adesso che hanno un bel po’ di potere da gestire la loro ultima idea può essere quella di far saltare il sistema. Dunque, la presa di posizione di Costa Neto suona sincera. 

La presa di distanza di Bolsonaro è invece molto più sfumata. Tutto sommato, è l’ambiguità di un leader che percepisce di aver dato il suo massimo, e sa che deve ormai mettersi da parte a vantaggio di nuove leadership, anche se chiaramente l’idea non gli piace. Comunque, dopo queste dichiarazioni è stato ricoverato in ospedale per forti dolori addominali. Malattia diplomatica, psicosomatica o vera che sia, segna comunque un’uscita di scena.   

A Bannon, invece, bastonato da varie condanne in patria, non sembra vero poter montare nuove baraonde da altre parti, e gran parte della galassia complottista lo rilancia. Davvero è stato lui l’ispiratore “straniero”, come suggeriscono governo e inquirenti? Bannon è effetti amico del deputato Eduardo Bolsonaro, figlio dell’ex presidente, e con l’hashtag #BrazilianSpring da ottobre incita i bolsonaristi alla rivolta. Anche Ali Alexander di “Stop the Steal” ha detto online, a novembre, che sta lavorando con una “cellula della libertà” in Brasile, pur non fornendone alcuna prova.

Ha pure suggerito un intervento dell’esercito brasiliano: esattamente la richiesta della protesta. Contatti tra trumpiani e bolsonaristi passerebbero anche attraverso la National Rifle Association, che ha passato armi di fabbricazione americana ai sostenitori di Bolsonaro. E sia la lobby delle armi sia quella dei camionisti potrebbero essere state tra le finanziatrici delle decine di pullman che hanno portato manifestanti a Brasilia prima dell’assalto, organizzato da gruppi su Telegram e WhatsApp fin dal 3 gennaio scorso. Ma sono tutti punti da chiarire. Contatti a parte, anche se l’ispirazione di Capitol Hill è chiara, il movimento bolsonarista anche a prima vista appare molto meno freak dei trumpiani, e molto più politico in senso stretto. Ma forse è solo la differenza tra le culture dei due paesi.