Il report del Csis

La Cina perderà un conflitto a Taiwan, ma con conseguenze devastanti

War game e una simulazione sulla "prima battaglia della prossima guerra"

Giulia Pompili

L’America può vincere la guerra contro Pechino nel Pacifico, ma il suo unico alleato sul campo probabilmente sarà il Giappone. E l'Europa potrebbe sfilarsi dalle sanzioni

Se entro i prossimi due anni Pechino dovesse decidere d’invadere Taiwan, l’isola de facto indipendente e governata democraticamente che il Partito comunista cinese rivendica come parte del suo territorio, avrebbe pochissime speranze di vincere la guerra. La Marina dell’Esercito popolare di liberazione, nuovo fiore all’occhiello delle Forze armate guidate dal leader Xi Jinping, ne uscirebbe a pezzi. In tre settimane di conflitto i morti tra i soldati di Pechino potrebbero arrivare fino a diecimila, con 155 aerei e 138 navi da guerra persi. Una catastrofe, ma non solo per la Cina. Secondo il primo, dettagliatissimo scenario sulla “prossima guerra” messo a punto dal Center for strategic and international studies, Taiwan, con il coinvolgimento immediato degli Stati Uniti e del Giappone, sarebbe salva. L’occidente avrebbe vinto il conflitto che tutti aspettavano da tempo, quello tra America e Cina. Ma per la Difesa americana i costi sarebbero giganteschi: almeno due portaerei affondate, fino a venti navi da guerra eliminate, oltre tremila soldati morti. 

 

Lo studio dello Csis – think tank di Washington che in passato ha dichiarato di aver ricevuto fondi sia dal Giappone, sia da Taiwan, sia dalla Cina – si basa su 24 diverse simulazioni di attacco anfibio da parte della Cina contro l’isola, “la prima battaglia della prossima guerra”, come la definiscono nel titolo. Gli autori Mark Cancian,  colonnello dei Marine in pensione, Matthew Cancian ed Eric Heginbotham, hanno spiegato ieri che serve più trasparenza nel predire i costi, non solo economici, di un conflitto come quello per Taiwan, ma fino a oggi i modelli predittivi sono secretati, oppure si concentrano sugli aspetti dell’escalation e della politica, più che sull’analisi delle operazioni militari. 

 

 I cosiddetti war game, invece, sono uno strumento fondamentale della strategia militare e dell’addestramento. Tutti i war game messi a punto dal Csis per Taiwan si basano su una condizione: che Pechino abbia deciso di invadere militarmente (è una premessa di fantasia, perché non sappiamo quali siano effettivamente i piani della leadership del Partito comunista cinese. “I funzionari americani avvertono che un’invasione cinese è una possibilità concreta”, dice Cancian, “una guerra non è mai inevitabile, ma non è impossibile”. La seconda premessa, è che Pechino inizi l’invasione con un attacco missilistico da terra su vasta scala, su Taiwan ma anche sul Giappone e sulle basi militari americane nell’arcipelago.

 

Il modello del Csis prende in considerazione anche le dinamiche innescate dalla guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina. Secondo gli esperti, il “modello Ucraina” non è adattabile alla situazione di Taiwan. Perché secondo quanto mostrato dalla Cina negli ultimi cinque mesi – da quando cioè Pechino ha reagito con enormi esercitazioni militari attorno all’isola dopo la visita a Taipei della speaker della Camera Nancy Pelosi – sappiamo che è in grado di effettuare un blocco navale attorno a Taiwan nel giro di pochissime ore. Vuol dire: in caso di conflitto, non ci sarebbe spazio per rifornire Taiwan di attrezzature e armamenti. L’intervento americano sarebbe inevitabile (e almeno quattro volte confermato dal presidente Joe Biden) perché, si legge nel report, l’America è “più impegnata nella difesa di Taiwan rispetto a quella dell’Ucraina e più propensa a intervenire direttamente”.  

 

La sfida per l’esercito cinese è più grande di quella affrontata da quello russo: “E’ più difficile attraversare 160 chilometri di acqua che un confine terrestre. Inoltre, una volta iniziato lo sbarco, non si può più tornare indietro”. E poi c’è il gioco delle alleanze: “Russia, Corea del nord, Iran o altri potrebbero approfittare della distrazione degli Stati Uniti per lanciare un’azione aggressiva e tentare di risolvere rivendicazioni territoriali di lunga data”, si legge. E Taiwan avrebbe alleati? Probabilmente meno dell’Ucraina: ci sarebbero molti paesi neutrali, impauriti dalle ripercussioni di un conflitto con la Cina, compresa l’Europa, che secondo gli analisti deciderebbe di non sanzionare in modo aggressivo Pechino. 

 

Basandosi su queste possibilità, il Csis fa delle raccomandazioni  precise: Taiwan deve avere  il necessario per difendersi prima di una eventuale invasione; le basi militari americane in Giappone e a Guam devono rafforzare le difese, è necessario produrre più missili antinave e più navi da guerra piccole e sacrificabili. Lavorare sulla deterrenza e sulle alleanze internazionali. E magari, a quella decisione, il Partito comunista cinese non ci arriverà mai.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.