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Spare

Il lucidalabbra, la ciotola del cane e l'uccellino che vola via: Harry il principe poeta

Ester Viola

Il primo problema è già nella foto di copertina. Poi uno si aspetterebbe almeno un po' di epica vanesia, e invece niente: l'episodio del litigio con William è una cosa penosa (anche se ipnotica)

Ci aveva provato, col libro perbene. Con gli strali educati. Prima di “Spare” Harry aveva dato alle stampe “Finding Freedom”. Storie della buonanotte di fesserie e libertà riconquistate – ed era scritto col freno a mano tirato

Ma che gliene può fregare alla gente di come ti senti meglio dopo che te ne sei andato di casa? Da ricco prigioniero a palazzo a ricco libero in California, e capirai. La diplomazia non ha mai venduto niente. I cazzi tuoi, tutti, dentro o fuori. La portineria è un’arte. Una guerra. Se non hai offeso nessuno, avrai scritto invano.

E così Harry s’è deciso. Ecco i miei panni sporchi, ecco l’agnello di dio (io). Furbi, gli editori, il gatto e la volpe, gli hanno chiamato a peso d’oro Moehringer. Poi hanno detto al principe Pinocchio emotivamente instabile: la biografia te la facciamo tale e quale a quella di Agassi. Ti piaceva Agassi? Vedrai che esci uguale. Sei contento? E lo sventurato rispose.

Il primo problema è proprio la foto in copertina. Agassi ha due occhi così. Sapete quegli occhi provati dalle tristezze, dai pesi d’esistere, da quel farabutto di tuo padre. Manco agli attori riesce, quello sguardo. Ce l’hai o non ce l’hai (meglio se non ce l’hai). Andre è credibile solo per quella foto. Lo compri, “Open”, quasi solo per quella foto. Per Harry il giochino doveva essere lo stesso. Faccia un sorriso triste, principe. E’ venuto il Joker. Il conte Dracula. Ma apriamolo, facciamo una critica onesta.

Un capitolo si intitola: “La notte che mi avvolge”. Un altro: “Sanguinante ma indomito”. Poi: “Capitano della mia anima”. Uno si frega le mani, apre il tomo e s’aspetterebbe un poco di epica vanesia, che ne so, imprese barocche, Amleto, indizi di letteratura, almeno un Moehringer che si fa un giro dalla parrucchiera di paese e ti fa scialare cinque minuti con aneddoti di qualità. E invece.

 

Il padre che gli dice figlio mio qua non ci sono i soldi.  “‘Meghan vuole continuare a lavorare?’ ‘Come, scusa?’ ‘Vuole continuare a recitare?’ ‘Oh. Be’, non lo so, credo di no. Immagino che vorrà stare con me, collaborare sai, il che escluderebbe ‘Suits’… dato che la girano a… Toronto’. ‘Mmh. Capisco. Be’, ragazzo mio, sai che non ci sono abbastanza soldi’. Lo fissai. Di che stava parlando? Spiegò. O almeno ci provò. ‘Non posso pagare nessun altro. Devo già pagare tuo fratello e Catherine’”.


Sono a cena tutti insieme, Will ha il raffreddore, Meghan si cura coi finocchi, Kate lì capisce che la cognata è scema. “Willy aveva il raffreddore: continuava a tossire e starnutire, e Meg corse di sopra a prendergli un po’ dei suoi toccasana naturali. Olio di origano, curcuma. Lui sembrò affascinato, commosso, anche se Kate annunciò alla tavolata che suo marito non avrebbe mai preso questi rimedi non convenzionali.

 

A Meghan non fa schifo usare i lucidalabbra altrui, cosa che fanno – ci informa Harry – di prassi le zozzone americane. “[Ci fu] un momento di imbarazzo dietro le quinte. Meg chiese a Kate di prestarle il lip gloss. Un’abitudine americana. Meg aveva dimenticato il suo, temeva di doverselo ritoccare e si rivolse a Kate in cerca di aiuto. Kate, sorpresa, cercò nella borsetta e tirò fuori con riluttanza il tubetto. Meg ne spremette un po’ su un dito e se lo applicò sulle labbra. Kate fece una smorfia. Uno scontro di stili, forse? Una sciocchezza di cui ridere subito dopo. Ma lasciò un piccolo segno”.


Il climax – se proprio ne dobbiamo trovare uno – è l’episodio della paccheriata. Si sarebbero presi a botte, i fratelli. Più o meno. Willy spinge a terra Harold dopo qualche discussione. Non so se avete mai assistito a uno scontro garbato ma fermo tra aristocratici. Una cosa penosa e ipnotica insieme. Invece degli stracci volano circonlocuzioni così:
“Sono deluso”.
“Spiacente, non posso”.
“Non riesco a parlare con te mentre sei in questo stato”.

Tutto questo al posto di dirsi reciprocamente “stronzo”. Segue scena violenta: William che spinge Harry, gli spezza la catenina, quello già di suo non si regge in piedi, non è abituato e cade sulla ciotola del cane e si fa un livido. Amen, si dice il frustrato lettore. Il miracolo di un secondo di spontaneità. La carta d’identità di due fratelli normali, e invece: tragedia.

“[Tempo dopo] mentre lo raccontavo, la terapeuta mi raccomandò di fare dei profondi respiri”. Il libro finisce col botto. Sono nella magione di Montecito con i balconi aperti, un colibrì entra in casa, e frulla sul box della figlia. Harry lo acchiappa come mio nonno prendeva i topi. Vola uccellino vola.

“Le sue zampe sembravano ciglia, le ali petali di fiore. Con le mani a coppa, posai delicatamente il colibrì su un muro al sole. Addio, amico mio. Ma lui rimase lì. Immobile. No, pensai. No, questo no. Su, dai. Sei libero. ‘Vola via’. E poi, contro ogni previsione, e ogni aspettativa, quell’animaletto meraviglioso e magico si riscosse e spiccò il volo.” Anche poeta, Fantocci.

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