il commento
I tempi isterici della guerra che Putin scalda e congela
Andare di fretta e saper aspettare: la durata del conflitto è tutt'un altro calcolo, in Ucraina
Milano. “A Ramstein si va per prendere ordini poiché si entra nel vivo della quarta guerra mondiale e l’unica politica possibile è quella di obbedire”, scrive Domenico Quirico inorridito dalla “boria chiarificatrice che sempre muove chi comanda gli imperi”, cioè dalla boria americana che nella base militare in Germania, la prossima settimana, “passerà in rassegna le truppe” e l’Europa sarà “invitata bruscamente ad acclimatarsi”, cioè a rifornire l’Ucraina delle armi e dei mezzi di cui ha bisogno. Finalmente, verrebbe da urlare, finalmente l’Europa vuole evitarla, la guerra mondiale (la terza, no?), e allinea il suo hard power, dopo parecchio recalcitrare. Veloci, ripetono gli ucraini, veloci dicono gli americani. Ogni giorno è decisivo, e ne sono passati trecentoventiquattro dall’invasione di Vladimir Putin. Andare di fretta e saper aspettare: questi sono i tempi isterici di una guerra che se fosse durata i tre giorni che si augurava Putin sarebbe stato un disastro e che pure dura e durerà giorni infiniti ed è comunque un disastro. Perché il tempo, da molti mesi, lo regola lo stesso presidente russo che potrebbe fermarla adesso e subito, la sua guerra senza ragione, e invece la protrae continuando a ributtare nel campo degli aggrediti le sue bombe, i suoi uomini e le sue responsabilità fingendosi aggredito – e ancora, dopo tutto questo tempo, c’è chi ci casca.
Finalmente l’Europa risponde alla chiamata americana – una parte di essa, perché un’altra non ha bisogno di moniti imperiali: la Lettonia, per dire, ha destinato il 41 per cento del suo budget della Difesa all’Ucraina, l’Estonia il 37, la Lituania il 16,7, la Polonia il 15 e giù giù passando per lo 0,5 dell’Italia fino allo 0,1 dell’Austria (i dati sono di ottobre e del Kiel Institute for the World Economy) – ma con i suoi tempi: la Germania dice che non invierà i sospirati Leopard se gli americani non mandano gli Abrams; la Polonia vuole mandare i suoi Leopard ma non ha il consenso tedesco, anzi non l’ha ancora chiesto; il vicecancelliere tedesco, il verde Robert Habeck, ieri ha detto: “La Germania non deve ostacolare le decisioni dei paesi che sostengono l’Ucraina, indipendentemente dalle decisioni che prende lei stessa” – “sembra il gioco del pollo”, commenta il reporter di Politico Hans von der Burchard. Magari quindi, viene da urlare, l’Europa bruscamente si vuole acclimatare negli ordini imperiali: se tutto va bene, l’obiettivo è la controffensiva di marzo annunciata da Kyiv, cioè almeno tra due mesi, un altro tempo lungo mentre si va di gran fretta.
Raccontando la battaglia nel Donbas tra Soledar e Bakhmut, violenta e mortifera come non riusciremo mai ad accettare, il giornalista del Wall Street Journal Yaroslav Trofimov scrive: “Alcuni funzionari occidentali e ucraini, i soldati e gli analisti sono sempre più preoccupati che Kyiv si sia fatta risucchiare dalla battaglia per Bakhmut fatta secondo i termini stabiliti dalla Russia, perdendo le forze che le servono per l’offensiva di primavera”. Forse avrebbe senso ritirarsi su una nuova linea difensiva sulle alture a ovest di Bakhmut, “per preservare la forza di combattimento dell’esercito ucraino”. Trofimov cita un comandante ucraino: “Non sono io che lo dico, è il re Leonida che capì che bisogna combattere il nemico in un terreno che ti avvantaggia. Al momento il tasso di cambio delle nostre vite e delle loro favorisce i russi”, e così facendo potremmo finirle, le vite a disposizione. Mentre da questa parte di mondo si discute inorriditi di vassallaggio europeo all’impero americano, in Ucraina si fanno calcoli strazianti di giorni e vite umane, perché le unità di misura utilizzate per conteggiare il tempo della guerra sono diverse in Ucraina e nei paesi alleati, ed è questo che dovrebbe farci inorridire, perché è la loro unità di misura che conta, non la nostra.
Ivo H. Daalder e James Goldgeier hanno scritto su Foreign Affairs un saggio sulla guerra lunga: “Né una vittoria né una pace negoziata potrebbero verificarsi presto – scrivono – e la guerra continuerà per il prossimo futuro. Le difese russe a est e a sud si stanno solidificando lungo la linea del fronte di 970 chilometri che ora divide le forze russe e ucraine. Entrambe le parti cercheranno di individuare le debolezze difensive del nemico, ma a meno di un collasso più ampio dell’una o dell’altra, è probabile che la linea di scontro rimanga più o meno dov’è ora. L’esaurimento e la mancanza di mezzi e uomini potrebbero anche determinare lunghe pause nei combattimenti, con tregue temporanee. Non tutte le guerre finiscono – o si risolvono con una pace duratura”. La Russia è maestra delle guerre congelate, come in Siria o come nella stessa Ucraina, invasa nel 2014 e intrappolata nel conflitto che colpevolmente abbiamo ignorato lungo una linea del fronte appena più corta. Ma il tempo della guerra congelata non è fermo, è solo il terreno in cui preferisce operare Putin, ed è per questo che per scandirlo noi, il tempo, bisogna essere pronti per il lungo periodo, e andare di fretta, passare in rassegna le nostre truppe anche se l’America non ce lo chiede.
Dalle piazze ai palazzi