Elaborazione grafica Enrico Cicchetti

Verso Bakhmut

La regola di Mosca è: la Wagner combatte, l'esercito decide

Micol Flammini

Guardare la devastazione a Soledar per capire quanto è pericoloso lo scontro tra Gerasimov e Prigozhin 

Prima di essere demansionato, Sergei Surovikin ha fatto appena in tempo a entrare nella classifica dei politici dell’anno, un elenco degli uomini più apprezzati della Russia che viene pubblicata annualmente. Al primo posto, secondo l’istituto di sondaggi VTsIOM, c’è ovviamente Vladimir Putin che rispetto al 2021 avrebbe anche aumentato il suo consenso, nonostante la guerra. Dopo il capo del Cremlino c’è Mikhail Mishustin, il premier non troppo in vista che finora si è pronunciato poco sull’“operazione militare speciale”. Al seguito ci sono il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il ministro della Difesa Sergei Shoigu, l’ex premier  Dmitri Medvedev, e il leader ceceno Ramzan Kadyrov. Tutti hanno aumentato i loro consensi. L’arrivo   nella lista del generale Surovikin è stato notato, come una meteora. Il sondaggio è stato  condotto  tra il 24 e il 27 dicembre e in quei giorni  il generale era ancora a capo delle operazioni in Ucraina. Tra i politici dell’anno non compare invece Valeri Gerasimov, il capo di stato maggiore che mercoledì ha preso il posto di Surovikin. C’è poca fiducia nei confronti dei sondaggi in Russia, ma la classifica può essere una bussola per capire le priorità del Cremlino, che, probabilmente, durante l’ultima settimana del 2022 non aveva ancora pensato di sostituire Surovikin per affidare  il comando delle forze in Ucraina a uno dei più stretti collaboratori del presidente. Tra la nuova nomina e il sondaggio sono successe molte cose, ma una in particolare: la battaglia di Soledar, la cittadina nel Donbas ormai distrutta in cui ucraini e russi si fronteggiano.

 

Le immagini che arrivano dal fronte sono brutali. Il medico polacco Damian Duda lavora come volontario per curare i soldati ucraini e pubblica ogni giorno su Twitter video di feriti gravi, sangue, fughe sotto i proiettili dei nemici russi. C’è frastuono, c’è dolore, c’è devastazione. Per Mosca, Soledar è importante per arrivare a Bakhmut e a dare notizie sulla situazione sul campo di battaglia da parte dei russi è soprattutto il gruppo Wagner. Sono mercenari, combattenti che fanno riferimento a Evgeni Prigozhin, l’uomo che contesta come Mosca ha gestito finora la guerra. La Russia schiera  contemporaneamente l’esercito regolare e i mercenari, che ora sono particolarmente impegnati nel Donbas per la presa di Soledar. Secondo alcuni analisti americani, tra i mercenari le vittime potrebbero essere oltre quattromila e i canali telegram che riportano le testimonianze di fonti interne alla Wagner raccontano che la sanguinosa impresa per Bakhmut risponde al desiderio di Prigozhin di forzare la mano contro il ministero della Difesa russo. Dopo mesi di disfatte, per Mosca Bakhmut sarebbe la prima conquista e la Wagner sta facendo di tutto per accontentare il Cremlino. Prigozhin chiede più uomini e più armi, vorrebbe, secondo le fonti su Telegram, che al suo lavoro venisse data la priorità rispetto a quello del ministero della Difesa, accusato di aver organizzato un’offensiva poco efficace. Prigozhin ha organizzato un sistema paramilitare efficiente che, prima dell’invasione dell’Ucraina, agiva nell’ombra, occupandosi di tutti i conflitti che il Cremlino non voleva mostrare. Dopo l’assalto contro Kyiv è uscito alla scoperto, i suoi uomini combattevano già nel Donbas dal 2014, e ha ricevuto un riconoscimento formale, tanto da entrare in conflitto con l’esercito regolare, con i generali, il ministro della Difesa Sergei Shoigu e lo stesso Gerasimov, al quale i mercenari, in un video girato a dicembre, si rivolgevano con fiumi di insulti per chiedere più materiale bellico. 

 

Nelle ultime ore è accaduta una cosa inusuale. Mentre Prigozhin sosteneva di aver preso il controllo di Soledar, non erano soltanto gli ucraini e gli americani a smentire, ma anche lo stesso Cremlino, che invitava a moderare gli annunci. Non è raro che in questa guerra la Russia abbia rivendicato conquiste non completate o mai ottenute, invece, con Soledar ha deciso di mostrare la calma proprio perché la città devastata si trova non soltanto nel mezzo di una battaglia militare ma anche politica. Nelle ore degli annunci, inoltre, il ministero della Difesa comunicava la nomina di Gerasimov come capo delle operazioni in Ucraina – quindi anche di quelle condotte dalla Wagner – e degradava Surovikin, apprezzato anche da Prigozhin. Il situazionismo nelle nomine non è una novità per Putin, ma Gerasimov finora ha dimostrato di essere inaffondabile, è  al fianco del capo del Cremlino da decenni, ha alimentato – o almeno messo per iscritto – le fobie di Putin per le rivoluzioni colorate, descritte come atti offensivi dell’occidente contro Mosca. Anche le motivazioni con cui è stata dichiarata la guerra contro l’Ucraina attingono da quelle fobie. 

 

Putin ha impiegato i suoi mandati a costruire attorno a sé una cerchia fidata, delle istituzioni che somigliassero e che avessero talmente bisogno di lui da non poterlo rimpiazzare. Prigozhin per anni è stato l’emanazione di un potere tollerato perché non moscovita: poteva esistere in quanto lontano dai confini russi. Ora che il capo della Wagner commenta anche quello che avviene dentro al Cremlino – finora non ha mai attaccato Putin in persona – potrebbe essere diventato un problema. La nomina di Gerasimov è un messaggio, non si pretende che cambi  la guerra,  ma attraverso il generale le istituzioni rivendicano la paternità di tutto quello che accade sul campo di battaglia. Lo scontro tra Prigozhin e Gerasimov non è diretto, ma la vittoria momentanea  del secondo è un modo per mettere in ordine le gerarchie che evidentemente anche il Cremlino sente sfuggite di mano. Attorno a Bakhmut questa resa dei conti è mortifera. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)