I passi falsi di Lula dopo il tentato golpe in Brasile
Destituzioni, documenti negli armadi e progetti per i media. Che patti si fanno a Brasilia dopo l'assalto alle istituzioni da parte dei seguaci di Bolsonaro
La Polizia federale brasiliana ha trovato una proposta di decreto per annullare la vittoria elettorale di Lula in casa di Anderson Torres: già ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza negli ultimi 20 mesi del governo di Bolsonaro, e poi per sei giorni segretario alla Sicurezza pubblica del distretto federale: dal 2 gennaio fino all’8, quando è stato destituito dal governatore Ibaneis Rocha. Poco dopo il nuovo ministro della Giustizia Flávio Dino ha destituito Rocha. Torres è accusato di essere responsabile dell’inazione dei poliziotti della Capitale di fronte alla sommossa dei bolsonaristi. Il 10 gennaio è arrivato per lui anche un ordine di arresto: non eseguito perché, esattamente come Bolsonaro, si trova in ferie a Orlando. E’ stato però eseguito un ordine di perquisizione, durante il quale è stato trovato in un armadio un documento in cui, in base all’articolo 136 della Costituzione, si prevedeva di creare una commissione controllata dal governo di Jair Bolsonaro, incaricata di “verificare la conformità e la legalità del processo elettorale”.
Tale articolo, in effetti, può venire attivato quando “l’ordine pubblico o la pace sociale” sono “minacciati da grave e imminente instabilità istituzionale”. Ma la “Folha de São Paulo”, che ha pubblicato il documento, osserva che risalirebbe a dopo le elezioni, e quindi sarebbe incostituzionale. Torres non nega che il documento ci sia, ma spiega che i ministri ricevono proposte “tra le più diverse” e questa bozza stava in un mucchio di documenti scartati. “Questo documento è stato preso quando non ero presente ed è trapelato fuori contesto, il che ha contribuito ad alimentare false narrazioni contro di me”. E ha continuato su Twitter: “Siamo stati il primo ministero a fornire rapporti di gestione per la transizione. Rispetto la democrazia brasiliana. Ho la coscienza pulita riguardo al mio ruolo di ministro”. E promette che tornerà dagli Stati Uniti per spiegarsi. Il documento può suonare inquietante, ma il decreto non è stato emanato, e i fatti di Brasilia hanno seguito un percorso diverso.
Il presidente Lula, nel denunciare che ci sarebbe stata “connivenza” tra alcuni militari e gli assaltatori dei palazzi dei tre poteri, ha ammesso però di non avere ancora il quadro completo. Ha promesso però che “da ora in poi saremo più duri”. Qualcuno teme che possa cogliere il pretesto per un’involuzione autoritaria, sul tipo di quelle che hanno fatto negli ultimi anni altri presidenti di sinistra latinoamericani. “Il regalo che Jair Bolsonaro ha fatto a Lula” è il titolo dell’editoriale di Marco Sebino sul giornale on line Metrópolis, secondo cui “la mafia bolsonarista voleva un colpo di stato, ma ha dato solo un pretesto. Queste persone sono tanto criminali quanto idioti politici”. In particolare, si teme che Lula possa imporre un suo vecchio progetto di “regolazione dei mezzi di comunicazione”, già iniziato con la creazione di una Procura nazionale di difesa della democrazia e di una Segreteria politica digitale “contro le fake news e l’incitazione all’odio”.
Tra destituzioni, arresti e richieste di indagine sullo stesso Bolsonaro, però, Lula ha lasciato al suo posto il ministro della Difesa José Múcio. “Resta, ho fiducia in lui. Tutti facciamo errori, José Múcio continuerà”. E Múcio è un bolsonarista dichiarato, proveniente dal partito che appoggiava il regime militare, e già sostenitore della destituzione di Dilma Rousseff. In più ha ammesso di aver amici negli accampamenti dei bolsonaristi, e ha detto che le loro erano “manifestazioni democratiche”. Anche lui è stato accusato di inazione, ma ha ricevuto subito l’appoggio di tutti i ministri della Difesa degli ultimi 20 anni: di Lula e di Dilma. Di Temer, e pure di Bolsonaro. E Lula sembra aver subito inteso il messaggio. Per cui, forse la sfuriata di Lula è pura “ammuina” per distrarre dal fatto che comunque lui con una certa destra profonda brasiliana dovrà continuare a venire a patti.