Il rifugio degli sfollati
Lo squarcio di Dnipro mostra perché ci vogliono le armi contro gli atti terroristici
La forza dei mezzi militari e la forza della legge internazionale contro la furia di Vladimir Putin in Ucraina
Milano. Kateryna Zelenskaya è stata estratta viva ieri dalle macerie del palazzo di Dnipro sventrato da un missile russo sabato: è sorda, non poteva chiamare aiuto; si stanno cercando suo marito e suo figlio di un anno, così come altre decine di persone che ancora non sono state trovate. I morti accertati sono quaranta, i feriti almeno il doppio, mentre le immagini degli appartamenti rimasti lì, tranciati, mischiano la quotidianità spezzata – la cucina gialla sospesa con la ciotola di frutta sul tavolo resterà come simbolo di questa violenza – con i ricordi delle vittime, la ragazzina che ballava e sorrideva, le due amiche che stavano andando in palestra assieme, i due bimbi che si sono salvati, ma sono ora orfani, e tutti gli altri.
I propagandisti russi hanno celebrato “i fuochi d’artificio” a Dnipro e ripetono che tutte le città dell’Ucraina finiranno così: a pezzi. L’obiettivo di Vladimir Putin è rendere il paese invivibile, senz’acqua, senza corrente, con il cibo che scarseggia, e di colpirlo in tutte le sue parti, in modo che nessuno si possa sentire al sicuro, mai. Ci sono milioni di ucraini che si muovono dentro al paese per fuggire dalle città più bersagliate o meno raggiungibili dagli aiuti e che si spostano dove le autorità indicano che si possono trovare condizioni di vita più accettabili. Dnipro, che era la quarta città più grande dell’Ucraina prima dell’inizio della guerra, è una di queste destinazioni: è stata attaccata almeno una decina di volte, e per quanto possa sembrare osceno (lo è) questo la rende una città più sicura rispetto ad altre. Da Mariupol, la città del sud distrutta e conquistata dai russi l’estate scorsa, sono arrivati a Dnipro cinquantamila rifugiati: a settembre, quando le scuole erano ricominciate, alcune tv avevano trasmesso le immagini dei bambini di Mariupol accolti, i disegni della loro città prima dell’assedio russo, con anche la piazza del teatro colpito dalle bombe dell’esercito di Mosca, in uno dei primi attacchi deliberati a obiettivi civili. Secondo alcune stime riportate dai giornali e non recentissime (risalgono all’inizio dell’autunno), almeno 227 mila persone sono arrivate da altre parti dell’Ucraina a Dnipro, che si trova a metà strada tra l’est del Donbas e il sud, due delle direttrici principali dell’aggressione russa. La natura di città-rifugio di Dnipro rende l’attacco missilistico ancora più brutale, se possibile, perché colpisce non soltanto un palazzo di nove piani ma anche la possibilità di sopravvivere lontani da casa, in questa fuga interna all’Ucraina per schivare le bombe e la distruzione.
Il palazzo sventrato di Dnipro ha riaperto il dibattito delle armi che servono all’Ucraina per difendersi e della necessità di applicare alla Russia di Putin le stesse regole che si applicano agli stati terroristi. Kaja Kallas, premier estone, l’ha riassunto in un tweet: “Con l’attacco a Dnipro e in altre parti dell’Ucraina, la Russia ha dimostrato ancora una volta di essere uno stato terrorista. Il mio appello agli alleati: aumentiamo il nostro sostegno. L’Ucraina ha bisogno di armi, inclusi i carri armati e la difesa aerea. La Russia deve essere resa responsabile di tutti i crimini commessi”. Alla fine di questa settimana, al vertice degli alleati nella base aerea di Ramstein, in Germania, il sostegno militare prenderà forma e dimensione: ci sono ancora molte incognite, parecchie riguardano la Germania. Ieri il primo ministro polacco è arrivato a Berlino, dove ha tenuto un discorso in cui ha detto: “Chiedo alla Germania di agire in modo deciso e rifornire l’Ucraina di tutte le tipologie di armi. Non c’è alcuna ragione per bloccare il sostegno a Kyiv: i carri armati non dovrebbero restare ad arrugginire nei depositi, ma consegnati ai difensori dell’Ucraina”. Ora sono aumentate di nuovo le pressioni per difendere i cieli dell’Ucraina: queste ultime due settimane di battaglie devastanti nell’est e di missili mortiferi ovunque hanno mostrato ancora una volta che il sostegno militare si deve muovere sui due fronti, di terra e di cielo, proprio come gli attacchi dei russi.
Poi ci sono le responsabilità umanitarie. I paragoni tra gli attacchi di Putin e quelli dei gruppi terroristici sono sempre più esatti. Annalena Baerbock, ministro degli Esteri tedesco, era in visita ieri alla Corte internazionale dell’Aia: “La guerra della Russia contro l’Ucraina è anche una guerra contro la legge”, ha detto: “Le cluster bomb sui civili, le camere di tortura, il sequestro di migliaia di bambini ucraini – non c’è nulla che può giustificare la furia della Russia in Ucraina, che è contraria alla legge ed è crudele”. L’inchiesta sui crimini di Putin è già aperta, ma per ora l’unica cosa riconoscibile sono lo squarcio di Dnipro e la panchina davanti al palazzo sventrato con i peluche e i fiori e i bigliettini sulla luce che tornerà.
Dalle piazze ai palazzi