il dibattito
La legge scozzese sui transgender scatena un (altro) conflitto con Londra
"Un attacco frontale al nostro Parlamento democraticamente eletto", ha detto la premier della Scozia. Una questione spinosa che sta fratturando la scena politica. I dubbi sulla norma ci sono anche da parte dell'opinione pubblica
All’incrocio tra il tema del gender e le spinte indipendentiste scozzesi sorge un piccolo inferno politico e ideologico verso cui il governo conservatore di Rishi Sunak si è avviato con decisione. Edimburgo vuole rendere ancora meno rigidi i confini dell’identità, permettendo già ai sedicenni di cambiare genere legalmente attraverso la sola autocertificazione e senza bisogno di una diagnosi medica di disforia di genere, mentre Londra si è opposta con lo strumento più drastico a sua disposizione, impedendo alla legge, approvata il mese scorso con 86 voti a favore e 39 contrari – di procedere verso l’approvazione reale.
Per la prima volta il governo ha usato una norma pensata al momento della creazione del Parlamento scozzese nel 1999: invece di rivolgersi alla Corte Suprema, ha applicato un veto che, unito al “no” già pronunciato sull’ipotesi di un nuovo referendum sull’indipendenza, rischia di far sentire la Scozia sempre più soffocata dal governo centrale, tanto più su una questione che ritiene essere di sua competenza. “Si tratta di un attacco frontale al nostro Parlamento scozzese democraticamente eletto e alla sua capacità di prendere le sue proprie decisioni su questioni su cui ha il potere”, ha spiegato la leader Nicola Sturgeon, che ha promesso di fare un ricorso legale contro la decisione, presa in base al cosiddetto “ordine della sezione 35” che permette al governo, in casi molto particolari e definiti, di agire contro i disegni di legge che hanno un “impatto avverso” sulla legge britannica, ossia, in questo caso, l’Equality Act del 2010. Il sottosegretario per la Scozia, Alistair Jack, ha spiegato che la decisione non è stata presa a cuor leggero e che i transgender meritano “rispetto, sostegno e comprensione”, cercando di spostare l’attenzione sul conflitto con la legge nazionale più che sull’aspetto ideologico.
In realtà si tratta di una questione costituzionale spinosissima, che ora spetterà ai giudici di Edimburgo, e poi forse in seconda battuta a quelli della Corte Suprema, dirimere, ma che già sta fratturando la scena politica in mille pezzi: il Labour, per dire, non ha una posizione ufficiale, con il partito scozzese che ha votato a favore e il leader Keir Starmer che ha detto che per lui 16 anni sono troppo pochi per una decisione del genere. Un’età invece perfettamente adeguata secondo la sottosegretaria per l’Istruzione Gillian Keegan, che nonostante la smentita – parlava per esperienza personale, lei a 16 anni lavorava già – ha contribuito alla confusione generale sull’argomento. Il disegno di legge cambia la procedura per ottenere un certificato di riconoscimento di genere, documento che riconosce legalmente che il genere di una persona non è necessariamente quello che è stato assegnato alla nascita, ma quello “acquisito”.
Attualmente la procedura è fissata da una legge del 2004, ma la Scozia vuole andare avanti da sola, aprendo a chi ha 16 anni, e non i 18 attualmente richiesti, ed è nato o è legalmente residente in Scozia. Per poter cambiare genere, secondo il testo occorre notificare la propria decisione alle autorità e poi confermarla al termine del periodo di riflessione di tre mesi, invece dei due anni precedentemente necessari, spiegando di aver vissuto nel nuovo genere per almeno tre mesi – sei per 16 e 17enni – e di voler continuare a farlo in permanenza.
Le richieste presentate verranno annullate nel caso per due anni non si fosse avuta notizia del richiedente e potranno essere revocate. Ovviamente esiste una lunga serie di misure aggiuntive per chi è sposato o parte di un’unione civile: occorre spiegare congiuntamente cosa si intende fare di questo vincolo. L’opinione pubblica scozzese non è molto favorevole alla legge, anzi, secondo YouGov sono contrari ben i due terzi dei cittadini, così come le femministe, guidate da JK Rowling, che temono che gli spazi riservati alle donne – a partire dalle carceri fino ai rifugi anti violenza – vengano invasi da uomini che, senza nessun ostacolo, in pochi mesi possono cambiare le carte e autoproclamarsi donne.