Le priorità strategiche degli alleati di Kyiv sono cambiate

Paola Peduzzi

Il dibattito sulle armi per l'Ucraina mostra quanto è cambiata l’idea di “campo di  battaglia” dell'occidente

Milano. Confermando l’invio di quattordici carri armati Challenger 2 – i primi carri armati di fabbricazione occidentale a essere mandati in Ucraina – il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha detto: “Il pacchetto di armi previsto ora costituisce un aumento importante delle capacità militari degli ucraini. Significa che possono passare dalla resistenza alle forze russe all’espulsione delle forze russe dal territorio ucraino”. Ha detto proprio così: espulsione –  a dimostrazione del fatto che la guerra non è in un momento di stallo e che gli alleati occidentali hanno compreso due cose: resistere non è sufficiente, perché finché l’esercito di Vladimir Putin avrà la possibilità di colpire, lo farà; aumentare ora il sostegno  all’Ucraina sarà meno costoso nel lungo periodo rispetto a farlo quando anche la Russia si sarà riorganizzata. Justin Bronk, ricercatore del centro studi Rusi, ha detto: “Non esiste alcuna scelta politica che eviterà agli europei di aumentare in modo significativo la spesa per la difesa: purtroppo la Russia ha già deciso per noi”. Per difendersi dall’aggressione russa l’Ucraina consuma  le munizioni prodotte in occidente a un ritmo che è più o meno doppio rispetto al ritmo della loro produzione: questo significa che per l’estate o al massimo l’autunno di quest’anno, le riserve europee e americane potrebbero scendere a un livello critico.  

 

Il ritmo è stato aumentato in occidente, ma l’effetto di questa accelerazione potrebbe non fare una grande differenza prima dell’anno prossimo, creando un “gap potenzialmente pericoloso”, scrive Yaroslav Trofimov sul Wall Street Journal, “nella seconda parte del 2023”. Per questo è importante sfruttare questo momento con una visione strategica – il momento è quello in cui la guerra sembra a più bassa intensità rispetto agli ultimi mesi del 2022, con il logorio nell’est e con i bombardamenti in tutto il paese che le forze russe compiono con cadenza e scempio quotidiani  pretendendo così di normalizzarli. La “bassa intensità” è un concetto arbitrario (chiedete agli ucraini se sembra bassa l’intensità di questa guerra) e utile a Putin, ed è anche poco corretto perché in realtà questo è il momento della pianificazione (“design”, dicono gli esperti militari così preziosi nell’analisi di questo conflitto) e delle priorità, un’attività necessaria e vitale, da fare assieme agli alleati. La condivisione degli obiettivi è decisiva ed è per questo che ci sono molte pressioni sulla Germania per l’invio dei carri armati Leopard: ci vuole coordinamento per evitare che i due fronti, la terra (principalmente l’est ora, ma non resterà così a lungo) e i cieli, non restino sguarniti. 

 

In realtà molti si preoccupano dei nostri arsenali vuoti, dell’occidente che resta sguarnito. Lo ha detto anche un ex generale inglese: è necessario rifornire gli ucraini ma è evidente che questo ha un impatto sulla capacità di difesa del Regno Unito e di tutti i paesi che contribuiscono alle forniture. Bisogna però intendersi sul campo di battaglia: se è vero, come dicono i leader occidentali ormai quasi all’unisono, che la difesa dell’Ucraina è un investimento sulla sicurezza collettiva di Europa e America (e anche di molti altri paesi che ancora non hanno realizzato quanto minacciosa può essere la Russia anche contro di loro), allora rifornire il fronte di guerra non significa sguarnire i nostri arsenali. L’Ucraina si è ritrovata sempre per una scelta non sua a essere il campo di una battaglia furiosa che però combattiamo tutti, quindi ha un senso strategico spostare carri armati e munizioni a Kyiv per evitare che la minaccia si estenda altrove. Anche questo dibattito sugli arsenali vuoti ha a che fare con la pianificazione e, nel caso di noi alleati, con la prevenzione: Volodymyr Zelensky, ribadendo l’urgenza dell’invio delle armi, ha detto che aspettare “come vanno le cose” è un errore perché sappiamo come va a finire la storia, cioè con “questi stessi terroristi che verranno a prendere anche voi, un giorno”.

 

Il vertice di Ramstein alla fine della settimana dovrebbe fornire un quadro militare (e umanitario: i fondi vanno di pari passo ed è prevista anche in questi giorni la prima tranche di tre miliardi di aiuti da parte dell’Unione europea) che non è fatto soltanto di una lista di mezzi da spedire o del numero di soldati ucraini da addestrare. Mostrerà la strategia di medio periodo dell’Ucraina e dei suoi alleati. Al primo vertice nella base militare in Germania, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, aveva detto una frase che aveva fatto imbufalire i cosiddetti pacifisti: “Vogliamo che la Russia sia indebolita al punto che non possa più fare cose come l’invasione dell’Ucraina”. Era fine aprile del 2022, si alzò il coro di chi diceva che gli americani desideravano da sempre annientare la Russia e ora avevano trovato l’occasione: quel coro è diventato un mantra dei putiniani. Oggi gli alleati si ritrovano in quella stessa base aerea con priorità più chiare, con un’idea di sicurezza collettiva forgiata dalla brutalità duratura dell’attacco russo e con un calcolo ben più esatto di quanto costa perdere tempo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi