Tet Nguyen Dan
Per il Vietnam è l'anno del gatto. Un presagio per il suo governo
Il Capodanno vietnamita si festeggia il 22 gennaio e come in Cina è rappresentato da un animale, che quest'anno ha qualche analogia con i vertici del paese, tra scandali e corruzione. Le vicende e l'idea del segretario del Partito comunista
I topi erano i guardiani del deposito celeste del riso. Ma col tempo divennero sempre più avidi e furono esiliati sulla terra. Dove provocarono una terribile carestia. Fu così che il Dio del Cielo inviò sulla terra il Gatto.
Questa tradizionale leggenda vietnamita, in questi giorni si sente spesso. Il 22 gennaio, infatti, si celebra il Tet Nguyen Dan, la “festa della prima mattina del primo giorno". Il Tet è il Capodanno vietnamita, che si calcola secondo il calendario lunisolare cinese. E come in Cina, ogni anno è rappresentato da un animale. Il 2023 per i cinesi è l’anno del coniglio. Per i vietnamiti è l’anno del gatto.
In un mondo dove i simboli sono fortissimi è difficile non cogliere le sottili analogie con quanto sta accadendo ai vertici del governo vietnamita, scosso da scandali di corruzione, che hanno coinvolto i “quattro pilastri” del sistema politico (il presidente dell’assemblea nazionale, il presidente della repubblica popolare, il segretario del partito comunista e il primo ministro). Il 17 gennaio, infatti, si è dimesso con “effetto immediato” Nguyen Xuan Phuc, che nel 2021 era stato designato Presidente dall’Assemblea Nazionale. Phuc ha anche offerto le sue dimissioni da membro del Politburo e dal Comitato centrale del Partito manifestando l’intenzione di ritirarsi dalla politica. Secondo un comunicato ufficiale del Partito comunista del Vietnam, Phuc, primo presidente a lasciare la carica, è stato ritenuto responsabile di “aver permesso a diversi funzionari, tra cui due vice primi ministri e tre ministri, di commettere violazioni che hanno causato gravi conseguenze”. A inizio gennaio i due vice primi ministri avevano già rassegnato le dimissioni, i ministri sono stati incriminati.
In Vietnam la corruzione si è diffusa come e con il Covid a ogni livello del partito, generando un crescente risentimento nella popolazione che ancor oggi risente delle conseguenze economiche della pandemia. Oggi forse ancor più che negli anni scorsi, perché col ritorno a un’apparente normalità si manifestano drammaticamente gli effetti dell’isolamento del paese. Per quest’anno, è prevista una drastica riduzione del prodotto interno lordo. Interi quartieri, spesso paragonabili a veri e propri villaggi, di condomini e infrastrutture turistiche finiti di costruire nel 2020 appaiono come le “città degli spettri” le necropoli in onore dei familiari defunti erette dai vietnamiti che hanno fatto fortuna all’estero e rientrati in patria negli anni Novanta.
La cultura della corruzione, tuttavia, viene contrastata con mezzi meno draconiani di quanto si sarebbe fatto in passato, con quella che è già stata definita la “cultura delle dimissioni”. Per non minare la propria immagine il partito invita coloro che sono sospettati di scandali a rassegnare le proprie dimissioni prima che il Partito stesso sia costretto a prendere provvedimenti.
Artefice di questa manovra, il gatto della situazione, è Nguyen Phu Trọng, che lo scorso anno è stato rieletto per la terza volta Segretario generale del partito comunista. Trong, 78 anni, membro del comitato centrale dal 1994, già Presidente del Vietnam, è un teorico cultore della “virtù marxista leninista”. Ma non è solo in nome di questa virtù che ha intrapreso questo scontro. Secondo molti osservatori Trong si oppone soprattutto alla deriva capitalistica e “occidentalistica” del paese di cui era promotore il dimissionario Phuc.
Non si tratta, oggi, di rinnegare il Doi Moi, il rinnovamento, la riforma economica lanciata nel 1986 per creare una “economia di mercato dalle caratteristiche socialiste”. Ma il rinnovamento deve limitarsi a un ambito esclusivamente economico senza estendersi alle regole di una politica basata sul controllo. A cinica prova del fatto che il Partito può tollerare anche la corruzione è il nome di un nuovo possibile presidente: l’ex ministro dell’interno To Lam. Quello che a fine 2021 venne ripreso mentre gustava una bistecca in crosta dorata nel ristorante londinese dello star–chef Salt Bae, una bistecca da mille dollari, più dello stipendio ufficiale da ministro. Ma Lam si è sempre dimostrato un fedele servitore del partito e, soprattutto, di Trong. Per altri osservatori, però, Trong vorrebbe avocare a sé la carica di presidente, in un’apoteosi di potere paragonabile a quella compiuta da Xi Jinping. Del resto, è dai tempi di Confucio che il Vietnam è influenzato dalla filosofia politica cinese.
La Cina, però, resta lo storico avversario del Vietnam in un millenario conflitto oggi latente nelle acque di quello che per i vietnamiti è il Bien Dong e per i cinesi il Nanhai, ossia il mare dell’est e il mar della Cina meridionale. C’è da aspettarsi qualche sorpresa nell’anno del gatto. O del coniglio.
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