Debito comune
L'Ue risponde all'Ira di Biden con gli investimenti verdi. Ma incespica su chi li pagherà
Il Green Deal Industrial Plan proposto da Ursula von der Leyen si basa su quattro pilastri: quello sui finanziamenti rappresenta il nodo più complicato sciogliere. Michel spinge per accelerare i tempi e portare un documento al prossimo Consiglio di febbraio
L’annuncio di Ursula von der Leyen di un piano industriale europeo per il Green Deal ha riacceso il dibattito sul debito comune dell’Ue. L’attesa risposta europea all’Inflaction Reduction Act (Ira) americano – e di riflesso al decennale impegno cinese per assicurarsi la leadership nelle tecnologie green – si scontra però con le divisioni interne all’Unione sui conti pubblici, la volontà di non frammentare il mercato interno e la ricerca di una rapida soluzione da offrire alle imprese per non perdere il treno della transizione.
Con la firma all’Inflaction Reduction Act l’amministrazione Biden ad agosto ha stanziato circa 369 miliardi di dollari di fondi federali per ridurre in maniera sostanziale le emissioni di CO2 degli Stati Uniti entro la fine del decennio facendo leva su una politica industriale a forte stampo protezionista. Una misura che ricorda da vicino quella messa in campo da Pechino nel 2015, quando con un mandato semiufficiale ha obbligato i produttori di auto sia cinesi che stranieri ad acquistare batterie prodotte da aziende cinesi per le loro auto elettriche per accedere al mercato e ai sussidi governativi. Una strategia alla base del successo di Catl, il più grande produttore di batterie al mondo – più di un terzo delle batterie prodotte a livello globale nel 2022 sono dell’azienda cinese –, fondato solo 4 anni prima.
Le modalità di sussidio previste da Washington sono più variegate – incentivi fiscali, sovvenzioni, garanzie sui prestiti – e prevedono requisiti meno totalitari di quelli previsti al tempo da Pechino su processi produttivi e materie prime ma hanno comunque l’obiettivo dichiarato di favorire l’industria nazionale. Ad esempio, l’accesso pieno al credito di imposta da 7.500 dollari per l’acquisto di un’auto nuova elettrica è subordinato alla provenienza dei minerali utilizzati nella batteria: in base alle indicazioni contenute nel provvedimento, nel 2023 il 40% dovrà essere stato estratto o lavorato in Nord America o in un paese che ha un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. La quota salirà progressivamente nei prossimi anni e nel 2027 arriverà all’80%. Inoltre per accedere all’incentivo fiscale anche la batteria dovrà essere fabbricata o assemblata negli Stati Uniti. Su questi requisiti è in corso un negoziato tra l’amministrazione americana e le autorità europee che si svolge nell’ambito di una task force creata ad hoc e lanciata lo scorso 26 ottobre.
È in questo contesto che si inserisce la risposta europea annunciata da von der Leyen a Davos durante il World Economic Forum. “Non è un segreto che alcuni elementi nella progettazione dell'Inflation Reduction Act abbiano sollevato una serie di preoccupazioni per alcuni degli incentivi dedicati alle aziende. Questo è il motivo per cui abbiamo lavorato con gli Stati Uniti per trovare soluzioni, ad esempio per fare in modo che anche le aziende dell'UE e le auto elettriche prodotte nell'UE possano beneficiare dell'Ira”, ha spiegato la presidente della Commissione europea.
Il Green Deal Industrial Plan – “il nostro piano per rendere l’Europa la casa della tecnologia pulita e dell'innovazione industriale sulla strada dello zero netto” – delineato da von der Leyen si articolerà su quattro pilastri: normativa ambientale, risorse, competenze e commercio. Il NetZero Industry Act servirà, in base alle parole della stessa presidente, a “creare un ambiente normativo che ci consenta di crescere rapidamente e di creare condizioni favorevoli per i settori cruciali per raggiungere lo zero netto”, quindi semplificazione e velocizzazione delle autorizzazioni per la costruzione di nuovi impianti di produzione clean-tech. Ma quali sono i settori clean tech? Von der Leyen ha citato eolico, pompe di calore, solare, idrogeno pulito, batterie e generici altri ambiti, “per i quali la domanda è stimolata dai nostri piani NextGenerationEu e RePowerEu”. L’Ira però, ad esempio, finanzia con 19 miliardi di dollari anche le aziende che sviluppano biocarburanti e altri carburanti rinnovabili per automobili e aerei.
Il nodo cruciale resta però il secondo pilastro, quello dei finanziamenti. Le indicazioni arrivate da von der Leyen sono state vaghe. La presidente ha rilanciato la possibilità di una revisione delle norme sugli aiuti di stato, velocizzandone e facilitandone le procedure. Su questo fronte si è già mossa la vicepresidente Margrethe Vestager che in una lettera inviata la scorsa settimana ai ministri dell’Economia dell’Unione ha proposto un nuovo quadro temporaneo e attende feedback entro il 25 gennaio dalle Capitali europee, secondo quanto riportato da Politico. Ma tale linea di finanziamento soddisferebbe pochi – anzi esclusivamente chi si può permettere di spendere ingenti risorse pubbliche come Francia e Germania – e sono già numerose le voci che si sono alzate evidenziando il rischio di spaccare il mercato interno. Inoltre, ai problemi di tipo “finanziario”, la ong ambientalista Transport & Environment (T&E) nel suo ultimo report ha aggiunto quelli di tipo “tecnico” che una soluzione comporterebbe: il potenziale per alcuni investimenti su metalli e rinnovabili potrebbe essere infatti determinato dalle caratteristiche geologiche del paese e non dalle sue capacità di spesa, azzoppando in partenza la rincorsa ai due competitor globale.
I limiti degli aiuti di stato sono stati riconosciuti nel suo discorso anche da Ursula von der Leyen anche se non è stata in grado di delineare in maniera chiara le alternative. La presidente della Commissione europea non è riuscita ad andare oltre l’indicazione del “medio termine” (comunque da valutare nel quadro della revisione di medio termine del bilancio dell’Ue) per l’approdo a un Fondo sovrano europeo da finanziare con debito comune. Anzi, sottolineando che questa soluzione “richiederà un po’ di tempo”, von der Leyen ha sottolineato che la Commissione guarderà “ad una soluzione ponte per fornire un rapido e mirato supporto lì dove sarà maggiormente necessario”. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha invece chiesto alla Commissione di accelerare i tempi e di preparare le sue proposte già per il prossimo vertice di febbraio, una richiesta che nelle scorse settimane era arrivata anche dal presidente francese Macron. Per T&E il fondo dovrebbe essere dotato di almeno 350 miliardi di euro da indirizzare verso le catene di approvvigionamento di rinnovabili, mobilità elettrica e batterie escludendo assolutamente qualsiasi forma di finanziamento a favore dei combustibili fossili a favore di un rilancio dell’industria mineraria europea per assicurarsi le materie prime fondamentali per la transizione.
E su quest’ultimo ambito di interesse von der Leyen ha fatto riferimento al quarto pilastro (il terzo è quello dello sviluppo delle competenze della forza lavoro da impiegare nell’industria clean tech), quello commerciale. Auspicando la creazione di un “club delle materie prime critiche” da contrapporre alla Cina “con partner che la pensano allo stesso modo – dagli Stati Uniti all'Ucraina”, von der Leyen ha espresso la volontà di fissare “un’ambiziosa agenda commerciale” per stringere accordi con i maggiori esportatori di litio, cobalto e terre rare. E su questo punto ha lanciato la sfida a Pechino. “Il commercio internazionale è fondamentale per aiutare la nostra industria a ridurre i costi, creare posti di lavoro e sviluppare nuovi prodotti – ha sottolineato la presidente europea –. Ma per lo stesso motivo, laddove il commercio non è equo, dobbiamo rispondere in modo più deciso”. L’accusa alla Cina è di aver incoraggiato la delocalizzazione con “la promessa di energia a buon mercato, basso costo del lavoro e un ambiente normativo più indulgente”, sovvenzionando contemporaneamente la sua industria e limitando l’accesso al suo mercato alle imprese europee.
Ecco quindi l’altra faccia della nuova politica industriale europea. “Dobbiamo concentrarci sulla riduzione del rischio piuttosto che sul decoupling (cioè la maggiore indipendenza della propria crescita economica dall'andamento del ciclo economico di altri paesi, ndr)”. “Ciò significa utilizzare tutti i nostri strumenti per affrontare le pratiche sleali, compreso il nuovo regolamento sui sussidi esteri. Non esiteremo ad aprire indagini se riteniamo che i nostri approvvigionamenti o altri mercati siano distorti da tali sovvenzioni”, è l’avviso di Bruxelles lanciato a Pechino, ma forse anche a Washington.