ossessione corruzione

La valanga di dimissioni a Kyiv

Micol Flammini

Gli scandali, il messaggio agli alleati, la propaganda di Mosca e la voglia di Zelensky di dimostrare: sulla corruzione l'Ucraina è cambiata

La lunga lista di funzionari di alto e medio livello che  si sono dimessi o sono stati licenziati negli ultimi giorni sono il racconto di uno degli sconvolgimenti politici più profondi della presidenza di Volodymyr Zelensky in Ucraina. Mancano i dettagli, le accuse concrete, per ora ci sono delle inchieste e tutto è avvolto  nella fatica del  fare politica e occuparsi di giustizia durante l’aggressione della Russia, ma una parola domina tutto: corruzione. E’ un problema  antico e su cui in Ucraina si sono spesso giocate le campagne elettorali, per cui il paese è stato   criticato, esternamente e internamente, e rende molto sensibile  l’opinione pubblica: ora più che mai. Zelensky ha promesso ai suoi cittadini di smantellare la corruzione e nello stesso tempo ha assicurato  ai suoi alleati che provvederà a sanare i problemi che ne derivano e soprattutto ha promesso che la guerra non si trasformerà in nutrimento per nuovi e vecchi corrotti. E’ alla luce di questi impegni che bisogna leggere la sfilza di dimissioni consensuali. 

 


Il primo a dimettersi nella giornata di ieri è stato Kyrylo Tymoshenko, vice capo della segreteria del presidente, accusato di aver utilizzato a fini privati un’auto di lusso messa a disposizione dalla General Motors per motivi umanitari. Tymoshenko collabora con Zelensky dalla campagna elettorale ed era stato più volte criticato per uno stile di vita eccentrico e lussuoso. Ha lasciato la sua carica scattando una fotografia con la lettera di dimissioni in mano e sulla faccia compariva un leggero sorriso. Dopo si è dimesso il viceministro della Difesa Vyacheslav Shapovalov. Le accuse contro di lui riguardano la più corposa delle inchieste: un caso di corruzione molto  ampio, tirato fuori dalla stampa ucraina, sul pagamento di cifre gonfiate per le forniture di cibo destinate all’esercito. Shapovalov si è dimesso negando le accuse, spiegando dove, secondo lui, nasceva l’errore, ma ammettendoo che le sue dimissioni erano necessarie per il bene superiore del ministero della Difesa, in cui lo scandalo potrebbe colpire anche il ministro Oleksii Reznikov. Poi è arrivato il momento di Oleksii Symonenko, viceprocuratore generale, e dei governatori di Dnipropetrovsk, Zaporizhzhia, Kyiv, Sumy, Kherson e di altri quattro viceministri. Il viceministro alle Infrastrutture, Vasyl Lozynsky, è invece agli arresti domiciliari per il sospetto di aver accettato tangenti. Zelensky ha parlato di sostituzioni future che potrebbero riguardare anche dei ministri, lunedì aveva annunciato che ai funzionari governativi sarebbe stato vietato lasciare il paese per scopi non inerenti al loro lavoro e che sarebbe arrivata una nuova procedura per attraversare le frontiere riguardante i membri delle istituzioni. Non sembrava essere stato colto alla sprovvista dalle dimissioni, non sembrava furioso, né di avere un piglio di condanna, come i suoi funzionari che hanno lasciato i prestigiosi incarichi non hanno mostrato rivalsa, lamentele, vittimismo o rabbia. 

 

La promessa di Zelensky in campagna elettorale, in un lontanissimo 2019, era di liberare l’Ucraina dalla corruzione. Una promessa che avevano fatto in tanti, senza riuscirci. Con la guerra, con lo status di paese candidato a entrare, un giorno, dentro l’Unione europea, questa promessa è raddoppiata ed è diventata: elimineremo la corruzione nonostante tutto. Il Cremlino adora descrivere l’Ucraina come un paese corrotto, la propaganda russa trionfalmente ripete che sarà peggio per gli occidentali accollarsi una società ucraina tanto malata. I problemi ci sono, gli ucraini li percepiscono, ma l’incurabilità della corruzione ucraina è un argomento da battaglia mediatica. Con l’invasione, l’occidente ha destinato a Kyiv  aiuti finanziari e militari  che le permettono di andare avanti e, nello stesso tempo, sono una promessa di fiducia. Il martellamento di Mosca si è fatto più intenso, la frequenza con cui il Cremlino avvisa della possibilità che questi soldi saranno gestiti male e alimenteranno il giro dei corrotti ha preso piede anche in uno dei paesi dell’Ue come l’Ungheria. Zelensky e tutto il suo governo vogliono  dimostrare il contrario, che sono  vigili, che gli aiuti che stanno arrivando non verranno risucchiati e che ogni singolo movimento, denuncia, accusa, anche se riguarda gli uomini considerati più fidati, viene preso sul serio. Non sono soltanto gli europei o gli americani a volersi assicurare che i soldi vengano spesi bene, sono anche gli ucraini che, se poco tolleravano prima l’idea di una politica corrotta, durante la guerra, in questo sacrificio estremo imposto dalla Russia, trovano ancora più irritante la possibilità che i loro alti funzionari si stiano approfittando della situazione e possano indebolire lo sforzo collettivo. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)