dove finisce lo stallo

A Vuhledar si vede dove va la guerra. Un esempio contro il dibattito sull'escalation

I russi stanno ammassando lì le armi, per farlo contano su un singolo ponte. Si può abbattere con un'arma occidentale o lasciarlo in piedi e prepararsi alla prossima carneficina

Cecilia Sala

Il dibattito sui carri armati è un déjà vu e l’escalation è già stata evitata. Tutti gli occhi sulla piccola città strategica dove finirà lo stallo

Il dibattito sui carri armati  è un déjà vu. La prima volta aveva senso prendersi del tempo  per discutere dei presunti rischi legati all’invio di armi  potenti e occidentali, la seconda meno. La prima volta non c’è stata un’escalation. Il dibattito  da noi è sulfureo e smemorato, quello che succede a Vuhledar, nel sud dell’Ucraina, è un esempio limpido per replicare alle teorie apocalittiche e confuse sui nostri aiuti in armi. 

Vuhledar è una piccola cittadina in un punto strategico, quello dove passa la strada che – scendendo poi in verticale – va dritta a Mariupol. I russi hanno cominciato ad attaccarla e stanno ammassando lì moltissime armi. Ma dipendono da una sola linea ferroviaria per portare il grosso delle armi e quindi sono vulnerabili. Quella linea ferroviaria passa per un ponte. Per distruggere quel ponte basterebbe un’arma che gli alleati di Kyiv hanno, Kyiv no. Sarebbe un’operazione mirata, limitata, intelligente, mentre quello che i russi hanno in serbo per Vuhledar è un corpo a corpo sanguinoso e lungo oltre alla distruzione di tutte le case dei civili, come a Bakhmut. Distruggere un singolo ponte sarebbe un’escalation? Mentre migliaia di cadaveri in una carneficina a Vuhledar sarebbero una de-escalation e un passo verso la pace? Sì, secondo gli avversari dei nuovi pacchetti di aiuti militari che, quando argomentano, si mantengono su un piano molto astratto: a scendere nel concreto quelle teorie si sgretolerebbero.

Il dibattito sull’invio di carri armati è una replica di qualcosa che è già stato discusso e risolto la scorsa primavera. Dopo che gli ucraini ci hanno sorpreso per la prima volta, respingendo l’assalto dei russi alla capitale, in Donbas si era creato uno stallo con la guerra d’attrito (che è una carneficina) come quello che c’è oggi. A quel punto gli americani avevano accontentato la richiesta di Kyiv sulle armi a medio raggio di fabbricazione occidentale e così, per sbloccare lo stallo, avevano mandato i loro Himars. C’era stato un lungo dibattito sull’opportunità di farlo (i russi sono stati respinti da Kyiv a marzo, gli Himars sono arrivati a giugno). Sappiamo cosa è successo dopo: non c’è stata un’escalation, c’è stata la liberazione rapida della zona di Kharkiv e di Kherson. 

La novità sostanziale in questa fase non è la decisione di mandare in Ucraina carri armati di fabbricazione occidentale (vale quanto, ma in realtà meno, di quella di mandare gli Himars), è che, se durante il primo stallo sia l’Ucraina sia la Russia avevano molto da perdere in una carneficina prolungata di soldati, da quando Mosca manda dei mobilitati inesperti e la compagnia Wagner dei reclutati nelle prigioni, per Mosca lo stallo-carneficina potrebbe anche andare avanti a lungo perché perde soldati delle cui vite le importa poco e che considera facilmente rimpiazzabili. 

La distanza tra Vuhledar e Mariupol è di circa 80 chilometri, gli ucraini hanno già sfondato per una profondità di più di 90 in pochi giorni, nella regione di Kharkiv. In un pezzo informato pubblicato dalla Cnn, c’è scritto che gli americani hanno suggerito agli ucraini di spendere meno energie nella difesa di Bakhmut e concentrarsi sulle occasioni nel sud: si riferiscono al corridoio che collega Vuhledar a Mariupol. Nell’articolo pubblicato di recente dal New York Times in cui si citano fonti nell’Amministrazione Biden secondo cui gli Stati Uniti ora sono pronti ad aiutare Kyiv a colpire in Crimea, non si dice che l’obiettivo è riconquistare la Crimea, ma colpire le linee che i russi schierati nel sud utilizzano per rifornirsi così da rendere possibile la controffensiva ucraina lungo quel corridoio. Quello che raggiunge Mariupol e quello che spezzerebbe, invece, il corridoio di Putin che va dal Donbas alla penisola occupata. 
Le munizioni che servirebbero a distruggere quel ponte si chiamano Glsdb oppure Atacms, assomigliano a quelle americane che i soldati ucraini utilizzano già per sparare con gli Himars, ma sparano più lontano: possono raggiungere il ponte. Queste munizioni sono molto più semplici da usare dei carri armati Leopard per non parlare di quelli americani Abrams: non ci vorrebbero tempi lunghi, non servirebbero settimane o mesi di addestramento. A Vuhledar c’è moltissimo da perdere (e da vincere), lo sanno anche i russi e infatti non stanno spostando lì i nuovi mobilitati o i detenuti reclutati dai mercenari della Wagner, ma i soldati di due brigate di marine considerate tra le migliori che hanno: la 40esima e la 155esima. Al momento i russi sono in una posizione fragile perché dipendono solo da quella linea ferroviaria che passa per il ponte, le altre possibilità per rifornirsi – l’autostrada e i binari che arrivano invece da est, dal Donetsk – sono nel raggio dell’artiglieria ucraina. Il tempo è prezioso: se ai russi saranno lasciate settimane o mesi, potrebbero conquistare Vuhledar e respingere gli ucraini più a nord, a quel punto avrebbero tre linee di rifornimento e una posizione solida. Per Kyiv significherebbe aver perso un’occasione quasi indolore (colpire il ponte), e che il tentativo di assalto per liberare il sud si trasformerà in una lotta più lunga, costosa e violenta per tutti. 
 


 

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