in libia
Il Piano Mattei si è fermato a Tripoli, che contesta l'accordo sul gas con Eni
Per il ministro libico del Petrolio l'intesa è illegale e svantaggiosa: degli 8 miliardi di dollari, 4 li dovrebbe mettere la Noc che ora apre un'indagine interna. I rischi nel fare affari con paesi fragili
Il Piano Mattei di Giorgia Meloni si sta ingolfando a Tripoli. Dopo poche ore dalla firma dell’accordo sul gas di sabato scorso, il ministro libico del Petrolio e del Gas ha dichiarato che l’intesa con Eni non è valida. Era uno dei rischi ventilati alla vigilia dell’intesa con uno stato fragile e caotico come la Libia, appesa a equilibri precari. Succede così che i termini dell’investimento appena siglato siano contestati dallo stesso governo con cui la compagnia petrolifera italiana ha concluso l’accordo. Gli 8 miliardi di dollari annunciati dall’ad di Eni, Claudio Descalzi, e da Meloni per fare entrare in produzione due giacimenti di gas offshore in realtà sarebbero da dividere a metà fra Roma e Tripoli. La precisazione – per nulla marginale – arriva dal ministro Mohamed Aoun, che già prima della firma aveva avanzato riserve sulle condizioni del contratto.
La settimana scorsa, il presidente della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara, lamentava la carenza di liquidità nelle casse della compagnia e alcuni osservatori si chiedono ora dove possa trovare quei 4 miliardi di dollari. Aoun ha parlato domenica durante una live su Facebook e ha denunciato che gli studi di fattibilità del progetto non sono affidabili. Soprattutto, il suo ministero non sarebbe stato informato dei termini dell’intesa. Secondo Aoun, il progetto sarebbe svantaggioso per la Libia, perché prevederebbe per Eni l’estrazione di una quota di gas pari al 37 per cento, in aumento rispetto a quella prevista inizialmente, del 30.
L’intesa stabilisce che l’investimento sia realizzato dalla Mellitah Oil & Gas, una joint venture divisa al 50 per cento fra Eni e Noc per l’estrazione di 21,2 milioni di metri cubi di gas al giorno da due giacimenti per i prossimi 25 anni. Sebbene si tratti del più grande accordo sul gas concluso dalla Libia da un quarto di secolo a oggi, il fronte di chi nutre dubbi sul progetto si va allargando. La settimana scorsa il capo dal governo della Cirenaica, Fathi Bashagha, aveva detto di non riconoscere gli accordi conclusi dal premier di Tripoli, Abdelhamid Dabaiba, perché il suo mandato è scaduto da oltre un anno. Ora la situazione è ancora più complicata, perché si apre una fronda anche all’interno del fragile governo di Tripoli, che l’Italia ha deciso di legittimare con la visita di Meloni di sabato scorso. Anche alcuni esponenti dell’Alto consiglio di stato libico hanno dichiarato di volere rivedere i termini dell’accordo e persino all’interno della Noc cominciano a esserci dubbi, con l’apertura di una verifica più approfondita da parte dell’Ufficio di revisione. Nei piani di Eni, il primo dei due giacimenti di gas dovrebbe entrare in produzione nel 2026, ma visti gli ultimi sviluppi la data sembra essere fin troppo ottimistica.
I conservatori inglesi