il caso del pallone spia

La Cina gestisce male le sue crisi, e questo è un guaio anche per noi

Giulia Pompili

La reazione scomposta e caotica cinese alla crisi del pallone aerostatico con l'America dimostra che la "potenza responsabile" ha qualche problema di comunicazione

Il volto delle crisi diplomatiche internazionali, in Cina, è di solito quello del portavoce di turno del ministero degli Esteri di Pechino. E’ la persona che quotidianamente incontra i giornalisti in un rito di domande preconfezionate ed editate, poi tradotte in inglese e messe online, che serve alla Cina a mostrare la sua posizione ufficiale sulle vicende che la riguardano (o che non la riguardano, ma su cui vuole commentare). Nei giorni scorsi il volto della crisi del pallone aerostatico – individuato nello spazio aereo americano e poi abbattuto su ordine della Casa Bianca sabato scorso – è stato per qualche ora quello di Mao Ning, diplomatica cinquantenne e lontana parente di Mao Zedong, che parla dallo scranno del ministero degli Esteri soltanto da cinque mesi. Ma nel giro di poche ore giovedì scorso, dopo che i media americani hanno iniziato a seguire in diretta il volo del pallone aerostatico, dopo che diversi politici americani hanno iniziato a suggerirne l’abbattimento, nella catena di comando di Pechino è successo qualcosa. Prima Mao Ning è andata davanti ai giornalisti e ha detto: stiamo verificando. Poi, poche ore dopo, c’è stato un inedito comunicato ufficiale,  che ammetteva che il pallone era cinese, e nel quale uno dei portavoce del ministero degli Esteri esprimeva “rammarico” per l’ingresso nello spazio aereo americano.

 

Il rammarico però non ha fermato il dipartimento di stato dal “rimandare a data da destinarsi” (espressione che nel gergo diplomatico significa spesso: annullare) il viaggio del segretario di stato Antony Blinken a Pechino, previsto per le ore successive. La gestione della crisi a quel punto è saltata: per la leadership di Xi Jinping era molto importante mantenere aperto un canale di comunicazione con l’America in una fase, soprattutto economica, delicata. Ma il fatto che sia stato così facile far saltare una visita di stato dimostra la scarsa dimestichezza di Pechino, che vuole mostrarsi al mondo come una potenza responsabile, nell’usare la diplomazia e la comunicazione per far rientrare le crisi. Anche perché dopo la fase del rammarico è passata a quella delle minacce: quando le Forze armate americane hanno abbattuto il pallone – e ieri hanno confermato che i detriti non verranno restituiti alla Cina – il ministero della Difesa di Pechino ha fatto sapere di essere pronto a fare lo stesso. 

 


C’è qualcosa che non torna nell’azione di spionaggio così sfacciata: la leadership cinese, sin dal G20 di Bali di novembre, con l’incontro tra Biden e Xi, era in una fase di riapertura al mondo e di offensiva diplomatica propositiva, anche con l’America. Se tutte le operazioni di spionaggio cinesi sono autorizzate al massimo livello, condurne una così azzardata alla vigilia della visita di Blinken dimostrerebbe un “totale errore di calcolo” da parte della leadership cinese, ha detto alla Cnn Steve Tsang, direttore del China Institute del  Soas di Londra, che forse pensava che la Casa Bianca non avrebbe reagito, oppure che il pallone non avrebbe avuto alcun impatto sul dialogo. Secondo David Sacks del Council on Foreign Relations la reazione americana all’intrusione cinese riguardava più “la difesa di un principio” che una questione di reale sicurezza, ma la crisi scaturita (anche) dalla reazione scomposta e caotica cinese dimostra  quanto sia pericoloso, in questa fase, un potenziale incidente tra le prime due economie del mondo. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.