da Ankara
Le politiche sull'edilizia di Erdogan mettono a rischio la sua rielezione dopo il terremoto
Il presidente turco teme per il suo futuro dopo che la catastrofe di lunedì ha svelato il fallimento delle regole sulla sicurezza degli edifici. Per entrare nell'Ue la Turchia approntò una legislazione che però fu disattesa a vantaggio di lobby vicine al governo
Ankara. Il presidente turco, arrivato al potere con un terremoto, se ne andrà col terremoto? È la domanda che circola su diversi media di opposizione. Erdogan è sotto accusa per le vistose falle nei soccorsi e per le responsabilità politiche che le macerie di 11 province del sudest anatolico stanno rendendo sempre più evidenti. Il leader turco ora è sul banco degli imputati per aver promosso una crescita economica guidata dall’edilizia, dal clientelismo, dalla corruzione e dalla mancanza di rispetto degli standard di costruzione dettati dalla comunità scientifica e dalle normative nazionali e internazionali in materia di prevenzione delle catastrofi naturali. Ora il terremoto rischia di sbriciolare anche il suo consenso già vacillante.
A quattro giorni dal sisma sono diecimila gli edifici collassati, in particolare a Gaziantep, Malatya e Hatay, dove i superstiti aspettano, raccolti intorno alle macerie, segni di vita dei loro cari; i sepolti sono ancora decine di migliaia. Diversi centri sono senza acqua potabile, gas ed elettricità, mancano coperte, viveri e medicine. Amministratori locali e parlamentari d’opposizione denunciano ostacoli nelle loro autonome operazioni di soccorso tanto da far dire al leader del maggior partito d’opposizione (Chp), Kemal Kilicdaroğlu: “Venite qui a prendermi se ne avete il coraggio! Le municipalità amministrate dal Chp andranno avanti nel fornire soccorso alle vittime nonostante gli ostacoli frapposti dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) al potere”. Sembra che il governo centrale, con le elezioni alle porte, voglia dimostrare di essere la sola forza capace di efficienza nei soccorsi.
Gli aiuti stentano a giungere a destinazione soprattutto perché le strade e gli aeroporti sono dissestati. Lo scalo di Hatay è inutilizzabile. La costruzione di questo aeroporto era stata avversata da esperti, geologi e ingegneri, perché sarebbe dovuta sorgere su un terreno paludoso e a ridosso di una delle più pericolose faglie del pianeta, quella Est anatolica. Anche l’ospedale statale di Iskenderun si è sbriciolato come un castello di sabbia e ad Antakya sono crollati edifici pubblici compreso quello della protezione civile, l’Afad. Ad Adiyaman è crollato il palazzo del Comune e quello delle telecomunicazioni. Tutti edifici, questi, di recente costruzione, innalzati in fretta, con materiali scadenti senza alcun criterio antisismico. Erdogan si è recato nelle aree terremotate e ha promesso una donazione di 10 mila lire turche a ciascuna vittima e una nuova casa entro un anno. Questo terremoto è giunto a pochi mesi da elezioni presidenziali dall’esito per niente scontato per il presidente e nel bel mezzo di una crisi economica profonda. Il terremoto mette a rischio la sua rielezione. Il leader turco ha memoria di quello che successe nel 1999 quando i fallimenti dell’allora governo di coalizione nel fornire un’assistenza tempestiva e adeguata alle vittime del terremoto di Gölcük avevano contribuito a catapultare l’Akp al potere. La storia potrebbe ripetersi a parti invertite. Di qui le forti preoccupazioni del presidente che per la prima volta ha rivolto una richiesta di aiuto internazionale.
Quando salì al potere nel 2002, l’Ak Parti si concentrò sulle riforme per rispettare l’agenda europeista necessaria per l’ingresso nell’Ue e approntò una legislazione sui terremoti avanzata, ma quelle regole sono state disattese nonostante Erdogan si sia vantato di aver sviluppato l’edilizia del paese. L’economia del cemento è stata sempre un suo fiore all’occhiello, incoraggiata dalla mancanza di controllo. I grandi appalti pubblici sono stati spesso appannaggio di lobby vicine al governo. A loro fu dato una sorta di lasciapassare, mentre studiosi, geologi e insigni urbanisti, come Tayfun Kahraman, furono mandati in prigione.